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Marco Basile – DGM

Per i DGM è arrivato il momento di portare sul palco la loro nuova creatura, “The Passage” (qui potete trovare la nostra recensione) e noi di Heavy Worlds non possiamo mancare al primo appuntamento del tour. Sarà per il fatto che l’album ci è piaciuto moltissimo, sarà per la splendida cornice del Sinistro Fest di Cerreto Guidi, in un pittoresco scorcio della campagna empolese con tanto di tramonto sul lago, ma la chiacchierata con Marco Basile, cantante del gruppo, ha sconfinato negli argomenti più disparati. Un’intervista fiume in cui leggerete moltissime notizie sul nuovo album, sul gruppo e sui progetti futuri, ma troverete anche tanta simpatia, aneddoti e spunti di riflessione. Marco non è solo il carismatico frontman della band, è anche un musicista dalla grandissima professionalità, dotato di un’energia straripante e di un entusiasmo contagioso. Godetevi la lettura e assorbite tutta la passione che i DGM hanno messo in questo loro nuovo lavoro! Enjoy!

– Ciao Marco e benvenuto su Heavy Worlds! Siamo alla prima vera e propria uscita in pubblico dopo il nuovo album! Raccontaci come vi sentite!
Ciao! Esatto, come quando liberano i pazzi, la prima uscita in pubblico! Bene, ti dico subito che siamo super elettrizzati, non vediamo l’ora di suonare i pezzi del nuovo album, che è bello fresco, diverso dal solito. Soprattutto, non vediamo l’ora di vedere la reazione del pubblico, perché sai, quando stai in sala è un po’ autoreferenziale, i pezzi ti piacciono, sono belli, iniziano a trovare buoni riscontri in giro, ma la vera prova è quando porti in giro i brani e vedi se riescono a camminare sulle loro gambe. Il live è davvero la prova del fuoco! Vediamo come va stasera e vediamo se abbiamo imparato per bene i pezzi! (Risate, ndF)

– Allora stasera ascolteremo con particolare attenzione! Il nuovo album è davvero un momento di Passaggio, è evocativo nel titolo, nell’artwork, è qualcosa di diverso dal solito…

Sì, io ti parlo naturalmente di quella che è la mia storia nel gruppo (dal 2008, ndF), da quando la formazione si è stabilizzata. Sicuramente “Frame” e “Momentum” trovavano una continuità tra loro, sviluppandone lati diversi: il primo era pieno di entusiasmo, di gioia, ero appena arrivato; il secondo risulta già più riflessivo, quasi più oscuro. In “The Passage” la differenza sostanziale è che ci siamo concessi poche, anzi pochissime strade prefatte, ci siamo lasciati andare anche violando quelli che sono i nostri soliti binari, ma speriamo mantenendo il trademark che ci rende riconoscibili. Abbiamo cercato di fare in maniera molto naturale dei passi verso l’esterno, tant’è vero che è il primo album in cui suoniamo una suite di 15 minuti,  divisa in due parti però comunque bella lunga! Quindi siamo un po’ tornati a quelle che sono le origini dei DGM, che hanno sempre un lato progressive molto marcato, ma convive con molte altre cose all’interno dei brani. Tutto questo è frutto di uno sviluppo piuttosto naturale, niente è stato scritto a tavolino.

– Infatti questa è una cosa che arriva moltissimo, il vostro marchio di fabbrica c’è senz’altro, basta un solo ascolto per capire che sono i DGM, però allo stesso tempo ha un’anima molto più hard rock, forse davvero avete scavato fino alle vostre radici più rock and roll…

Ecco, questa cosa è verissima e la voglio sottolineare molto! Sicuramente l’hard rock e l’AOR anni ’70 e ’80 ci ha influenzato moltissimo, gruppi come Deep Purple, Malmsteen, Kansas e potrei citarne ancora una marea, finendo con i Toto e i Journey. Questo concetto si sposa con l’essenza dei DGM che è assolutamente melodica, in particolare da quando la formazione ha trovato questa quadra. La matrice melodica c’è sempre stata, ma come dici bene tu, all’interno di questo disco, dal punto di vista compositivo, è ancora più evidente: le linee vocali, i temi musicali, tutto ciò che si respira all’interno dell’album. Ci piace pensare che abbiamo portato le nostre radici a sonorità più moderne.

– Certo, ma tutto appare molto genuino e più diretto forse, dalla produzione ad una grafica molto diverse dal suo predecessore. Prendiamo la copertina, “Momentum” minimale, con pochi colori, “The Passage” è esattamente l’opposto. Cos’è cambiato, anche proprio dal punto di vista del vostro gusto personale?

Io credo che sia il fatto di aver estrinsecato e semplificato il concetto del passaggio tra gli elementi di acqua e fuoco, con tutte le sfumature possibili. Dal punto di vista grafico, è una trasposizione molto ben riuscita di ciò che significa davvero l’album e ci ha convinti subito, dalle prime bozze che ci sono arrivate. Abbiamo capito che era la strada giusta, come impatto visivo: io ragiono sempre anche da fruitore e penso a cosa mi colpisce in uno scaffale di un negozio di dischi! La musica l’ho sempre comprata e continuo a comprarla, quindi immagino sempre che cosa possa colpire la mia attenzione è questo è stato un elemento discriminante per la scelta.

– Mi sembra che si possa fare lo stesso discorso anche per la resa video che avete cercato, come abbiamo visto per i singoli “Animal” e “Fallen”?

Sì, da questo punto di vista abbiamo fatto una scelta continuativa: ci siamo affidati al nostro Matteo Ermeti, che ha curato i videoclip sia di “Trust” che di “Reason”, ma abbiamo sfruttato tecnologie che non avevamo mai usato, come ad esempio l’uso dei droni. Abbiamo voluto delle scene molto movimentate che ci fanno godere delle location che abbiamo scelto; inoltre, è la prima volta che abbiamo utilizzato degli attori, insomma abbiamo cercato di spostare la bandierina un po’ più avanti, come cerchiamo sempre di fare, di album in album, cercando un prodotto che stimoli prima di tutto noi!

– E in tutto questo c’è anche un cambio di etichetta: rientra nel progetto di alzare l’asticella?

Assolutamente sì! Anche se la connessione tra cambio di etichetta e nome dell’album è del tutto casuale! Il materiale era già tutto pronto, poi abbiamo innestato il discorso Frontiers. Per quanto mi riguarda, è un ritorno a casa: io ho firmato il mio primo contratto discografico con la Frontiers, ero molto orgoglioso allora di quella scelta, ne sono molto contento anche oggi. Sono persone che lavorano con Band di altissimo profilo e so come lo fanno, sono molto in gamba. Sono pienamente coinvolte in questo progetto, nella promozione dell’album, anche negli ascolti personali: ci stanno dimostrando con grande forza che credono in tutto questo lavoro!

– E alle parole seguono i fatti, visto che suonerete in una splendida posizione nel Bill del Frontiers Metal Fest del prossimo 30 ottobre a Trezzo!

Assolutamente sì! Per noi sarà un ritorno al Live Club, location bellissima e ti anticipo anche che probabilmente gireremo un DVD in quell’occasione, quindi siete tutti chiamati alle armi per questa ripresa! Penso che uscirà insieme ad un altro DVD che abbiamo già realizzato nel 2014, ma questo è ancora tutto da vedere, intanto lo dico a te! (Risate, ndF)

– Che notizia, grazie! E per quanto riguarda i live, il tour parte stasera qui dalla Toscana, in un luogo che forse è un po’ insolito anche per voi!

Ma sì infatti è piacevolmente strano per noi! Questa atmosfera bucolica, lago, arcieri, frecce: è fighissimo! Poi io sono sempre per la difesa del diverso, facciamo cose nuove, proviamo cose nuove… È sempre bello e stimolante! Ed è solo l’inizio: poi andremo in Belgio, Olanda, Francia, Tel Aviv, torneremo per il festival a Trezzo, in Svizzera con i Myrath, poi torneremo in Giappone. Poi nel 2017 ci saranno altre date, stiamo organizzando un bel carrozzone con i nostri compagni di etichetta Secret Sphere e Trick or Treat, in giro per l’Europa.

– Anche questa è una bellissima notizia! Senti, ma esplorando tutte queste realtà internazionali, secondo te quali sono le differenze che incidono veramente sul mercato, in questo genere musicale? Per te, perché è così difficile nel nostro Paese smuovere un certo tipo di pubblico, che pure è una nicchia di intenditori, perché il genere che proponete voi ad esempio, ha bisogno di una certa attenzione nell’ascolto, di una cultura musicale più vasta rispetto ad un ascoltatore medio! Perché è così difficile ricreare una scena che fino ai primi anni ’90 era invece più che viva ?

Certo, la domanda è aperta e potremmo tentare di dare molte spiegazioni, io ti dico cosa penso personalmente, da doppia angolazione. La prima, è che sicuramente la cultura musicale, non solo per il rock o il Metal, ma per qualsiasi genere che richieda più attenzione di un “Sole, Cuore, Amore”, con tutto il rispetto per Valeria Rossi (risate, ndF)!

– Così impara a fare le rime baciate…

Esatto! Insomma, la coscienza s’insegna nelle scuole e in questo momento storico non si fa altro che distruggere la cultura da ogni punto di vista. Se un popolo cresce senza coscienza di sé, è difficile che vada a ricercare cose più impegnative, più particolari, si accontenta. È strano per noi che siamo la culla della cultura, faticare a farci i conti, con la cultura, quando abbiamo accessi alla magnificenza in ogni dove! Dall’altra parte, la differenza con la nostra generazione è come si arriva al prodotto, alla musica, noi avevamo un rispetto diverso da chi probabilmente ha tutto a portata di mano, senza fare sacrifici. Ora accendi il computer e il tuo mondo è là, non devi sforzarti di mantenere i rapporti sociali con ti doppia i dischi (Risate, ndF)!

…e qui, da bravi anziani alla bocciofila, siamo partiti a rinvangare ricordi di musicassette prestate dagli amici, di dischi comprati e conservati come reliquie…

– Che è un po’ anche il motivo della scarsa partecipazione ai concerti…

Ma certo, se il mondo finisce per essere intorno ad una scrivania! Ma c’è bisogno anche di collaborazione tra noi che della scena facciamo parte, come dice spesso anche Simone (Mularoni, ndF). Noi stiamo tentando di invertire questa tendenza, vedi anche il tour di cui ti dicevo prima… Le Band dovrebbero fare super squadra, separati diventa tutto più complesso. Io sono per la condivisione, non credo che sia utile arroccarsi nella propria realtà, la scena non si crea se non si crea una sinergia, tra di noi prima di tutto. Poi puoi pensare di avere qualcosa di solido con cui attirare il pubblico

– Questo concetto si sposa bene anche con la tendenza a prediligere sempre i festival all’estero?

Noi italiani siamo un po’ esterofili, bisogna ammetterlo, in realtà si dovrebbe considerare di più quello che passa a casa nostra, anche se siamo davvero provincia dell’impero. Poi conta che hanno parte d’Italia viene un po’ ignorato dai grandi eventi, passa tutto da Milano. Ma io mi metto anche nei panni di chi organizza, il momento è complesso ma non è tutto nero! Guarda questo bel festival qui ad Empoli o il Volcano Festival a Napoli.

– Forse la spinta che serve viene da queste realtà un po’ più piccole, ma che ci mettono davvero tutta l’anima nell’organizzazione…

Verissimo, perché si stanno costruendo una credibilità sempre maggiore, comunque il messaggio che si lancia è positivo, altrimenti non saremmo qui neanche noi! In Italia ne abbiamo visti tanti di festival organizzati benissimo dove siamo stati super coccolati, dove tutto era curato egregiamente, dai suoni allo staff…

– Di messaggi positivi ce ne sono tanti anche nel vostro album, è pieno di energia e grinta!

Ma sai, è un album che ha l’ambizione di incidere, nel senso che vuole entrare nelle vite delle persone per incidere positivamente, per essere di compagnia, per un momento di condivisione. Mi ricordo quand’ero giovincello, bastava un album, una frase di una canzone per farmi sentire meno solo, sembrava quasi che le superstar che ascoltavano fossero più vicine al nostro mondo, più vicine a noi grazie alla loro arte. Ecco gli artisti credo che abbiano questo dovere, incidere con la loro arte, che sia la musica, la letteratura, il cinema, bisogna lasciare un segno non solo timbrare il cartellino. La musica deve farti sentire parte di qualcosa, unire e mai allontanare.

– E che cos’è che ha inciso su di te in questa maniera, allo stesso modo in cui vorresti veder incidere “The Passage” nelle vite dei vostri fans?

Sicuramente “Awake” dei Dream Theater, lo comprai senza nemmeno sapere chi fossero, perché lessi una review su un giornale. Fino a quel momento avevo ascoltato Europe, Deep Purple, Bon Jovi, roba quadrata, ma quel disco all’inizio non l’avevo capito, mi allontanai dall’album pensando “Ma questi sono pazzi!” (Risate, ndF) Invece poi mi ci sono riavvicinato e da lì è patito tutto, dalla riscoperta dei dischi di mio padre, Rush, Yes, il progressive anni ’70. Tanti hanno inciso nella mia vita, Queen, Radiohead, ma fammi citare anche un gruppo napoletano che col Metal non c’entra niente e probabilmente non leggerà mai queste parole,  si chiamano Epo. Ciro Tuzzi è un grande compositore e grande amico, scrive delle cose davvero fenomenali, la loro produzione ha influenzato molto il mio modo i intendere la musica. Ma te ne potrei citare davvero tanti! “Spark” di Tori Amos, tanto per citare un album non Metal, quindi forse è meglio che non continui!

– Invece voglio proprio chiederti quali  sono i tuoi scheletri nell’armadio, anzi nella tua collezione di dischi?

Ahah ce ne sono una marea, a partire da qualche boyband! Ascolto di gran gusto Justin Timberlake, sono un grande fruitore di neo -soul, da Prince in poi, ascolto la trasmissione di Massimo Oldani su RadioCapital con grande interesse! Sono cresciuto con il soul della West Coast, grazie ai miei genitori, sono nato esterofilo, la musica italiana l’ho capita tardi, Tenco ad esempio, per citarne un su tutti. Non so se tutti questi ascolti non Metal sono una cosa buona da dire!

– Assolutamente sì, l’apertura mentale per un artista è tutto!

La musica per me è bella o brutta. Le etichette poi servono per sistemare i dischi sugli scaffali!

– E invece che cos’altro ti ha ispirato nella composizione dei pezzi di “The Passage”?

La mia vita. Ma non perché sia particolarmente spettacolare ahah! In realtà non saprei parlare d’altro, se non di ciò che attraversa la mia sensibilità e segna la mia pellaccia, trasformandosi poi in musica. È così per tutti noi, non siamo capaci di scrivere testi su draghi, spade, elfi… Tutte cose che invece sarebbero in tema stasera! (Risate, ndF) ma neanche un impegno politico alla Rage Against The Machine! Certo, quello che succede intorno a noi ci influenza, ma ti parlo dal punto di vista del cantante: devo cantare cose che sento vicine, deve crearsi un’empatia per essere credibile! Devo compenetrare le esperienze che creano i pezzi anche degli altri della Band per essere il tramite tra i nostri testi e il pubblico!

– C’è un pezzo di “The Passage” a cui sei particolarmente legato, in questo senso?

Ma guarda questo disco è davvero pieno, più di tutti gli altri! Per ragioni diverse mi piace in tutte le sue angolazioni, chiaramente sono molto legato ai pezzi di cui ho scritto io i testi, per ovvie ragioni. Stamattina sul treno ascoltavo il pezzo scritto da me ed Emanuele, il pezzo al pianoforte, “Disguise”, è un episodio anomalo per noi, se ci pensi, ma è così carico di significato! Naturalmente chi scrive cerca di sublimare il significato dei testi perché tutti possano ritrovarsi, ma c’è sempre di base il materiale grezzo, la ferita o l’esperienza da cui proviene tutto ciò che si scrive. Io sono molto critico, lo siamo tutti e cinque a dire la verità, a partire da Simone e a finir a Fabio o Andrea… La gestazione dell’album è stata infatti molto lunga, più del solito!

– Tra poco devo lasciarti andare sul palco, ma abbiamo ancora qualche minuto e questo clima di grande empatia che mi hai descritto, mi fa pensare che anche la scelta degli ospiti non sia casuale?

Sì ed è sempre stato così! Sono persone che stimiamo come musicisti ma non solo. Sono ospiti con cui abbiamo intrecciato di bellissimi rapporti umani. Tom è venuto a registrare di persona, addirittura! È stato bellissimo per me cantare con lui, siamo molto diversi e abbiamo dato due veri e propri colori al pezzo. Non ci interessa avere un nome da mettere sul disco, ci interessa l’esperienza che possiamo fare insieme.

– Siamo arrivati davvero alla fine di questa intervista, vuoi fare un saluto ai nostri lettori? Quello che vuoi, senza filtri!

Abbiamo parlato giusto un filino, eh? Ma senti, naturalmente saluto tutti i lettori di Heavy Worlds e ringrazio te soprattutto per la carineria con cui hai gestito questa intervista! E per la review, naturalmente! È un grande piacere poter rispondere a delle domande che non sono compilative, ma rappresentano un’analisi di qualcosa che è stato davvero ascoltato ed assaporato. Ho trovato molte domande ficcanti, non fatte tanto per fare, ma fatte con la curiosità più bella, quella che viene fuori dall’ascolto dell’album! Grazie!