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Nigel Glockler – Saxon


L’ultimo concerto italiano dei Saxon è stata l’occasione per fare una lunga e piacevole chiacchierata, in larga parte retrospettiva, con Nigel Glockler. Il batterista della leggendaria band britannica si è dilungato nel fornirci aneddoti sul suo passato musicale, sul suo amore per il progressive italiano, senza dimenticare di ricordare con divertimento la storica partecipazione come ospiti a San Remo, quasi 35 anni fa. Ecco cosa ci ha detto.

– Ciao Nigel, come stai? Come procede il tour?

Si, sta andando tutto bene, abbiamo altri shows da fare. Si tratta di un tour piuttosto lungo, ma sta andando tutto bene!


– Il 2016 è un anno pieno di sorprese in casa Saxon: avete pubblicato, nell’ordine, un boxed set contenente i vostri album dal 1991 al 2011 in vinile, il Cd e Dvd live ”Let Me Feel Your Power”, e ”The Vynil Hoarde”, una raccolta di recenti live sempre in vinile…

Sì, è stato un anno veramente pieno di impegni! (ride, nda)

– In particolare, e anche l’ultimo “Let Me Feel Your Power” lo conferma, voi siete essenzialmente una live band…

Si, sono d’accordo. Amiamo suonare dal vivo; voglio dire, a me piace molto stare in studio, perché è il momento in cui emerge il lato creativo, ma è fantastico uscire su un palco, vedere le reazioni della gente ai tuoi concerti. Non importa davanti a quante persone suoni, è sempre qualcosa di speciale.

– Nel frattempo, avete in cantiere un nuovo album…

Si, stiamo registrando il nuovo disco. Con noi lavora ancora Andy Sneap; essendo entrambi pieni di impegni, per differenti motivi (lui in studio, noi generalmente in tour), ci troviamo quando riusciamo a combinare delle date in cui siamo liberi sia noi che lui. Penso di aver fatto le tracce di batteria per 12-13 canzoni, e anche il basso è a buon punto. Riprenderemo il tour negli Usa a marzo, quando torniamo a casa riprendiamo a lavorare sul disco e facciamo qualche festival, e forse saremo di nuovo in America a settembre. Il disco potrebbe uscire in autunno 2017.

– Ancora oggi, dopo quasi 40 anni di carriera, pubblicate con una media di un album ogni due anni. Come fate a essere così prolifici? Qual è il vostro segreto?

(Ride, nda). Penso che la cosa più importante sia che a noi piace suonare e comporre musica. Sono dell’idea che se smetti di amare quello che fai, dovresti smettere anche di farlo, ma noi amiamo ancora fare questo mestiere e quindi, dopo un tour, iniziamo subito a comporre.

– Senti di essere cresciuto come musicista, in tutti questi anni di attività?

Assolutamente, credo di essere cresciuto come musicista. Una cosa che dico spesso è che non si smette mai di imparare. Più ascolti, più suoni, più input puoi assorbire. Chiunque dica che non ha più nulla da imparare è un bugiardo.

– Che consigli daresti ai gruppi emergenti?

Semplicemente continua a suonare e costruisciti una base di fan. Suona dovunque puoi, così più gente ti conosce e più gente ti può apprezzare. Ai tempi, si andava a suonare nei club, si dormiva in un furgone, e si guidava fino a casa o alla prossima tappa. Magari non il massimo del comfort, ma si creava una nutrita fan base.

– In tutti questi anni di carriera, probabilmente avrai imparato molte cose, anche extramusicalmente, e fatto esperienze significative. Ti va di condividere qualcosa coi nostri lettori?

Una delle cose più belle che mi siano capitate è che ho visitato tantissimi Stati del mondo, dove non ero mai andato. È bello andare in tour, conosci nuove persone e vedi nuovi posti, ed è molto bello partecipare anche ai festival. Sai, abbiamo molti amici che suonano in altri gruppi, ma siccome siamo sempre tutti in tour, l’unico modo per ritrovarci è suonare assieme ai festival. In poche parole, queste per noi sono proprio delle feste, delle occasioni per rivederci, salutarci, chiacchierare, mangiare assieme. Dal punto di vista turistico, invece, sai, essendo inglese, quando andavo in vacanza ero solito andare in Italia e in Spagna (ride, nda). Ora è facile spostarsi, ci sono i voli economici, ma 30 anni fa, senza la musica, non avrei potuto viaggiare così tanto e così lontano. Sono grato per aver potuto vedere così tanto il mondo.

– Sei entrato nei Saxon nel 1981. A quell’epoca avevi realizzato che stavate diventando uno dei più importanti gruppi heavy metal in circolazione?

Si, lo avevo capito. La cosa buffa è che io suonavo in un’altra band, abbastanza ben avviata all’epoca.  Il manager dei Saxon aveva suonato con me in un altro gruppo, e mi fece fare una session con loro. Avevo 2 giorni per imparare l’intero set.

…ce l’hai fatta, a quanto pare…

Si (ride, nda). Ero un fan dei Saxon, avevo un quaderno su cui mi appuntavo le parti fondamentali da ricordare. Pensa che il primo concerto che ho suonato con loro era nella mia città natale, e io avevo già comprato il biglietto per quella data! (ride, nda). Sarei andato a vederli in ogni caso, perché mi piacevano. Non mi hanno ancora rimborsato il biglietto (ride, nda).

– Ovviamente in quegli anni la situazione musicale era molto diversa da quella attuale…

L’industria discografica è cambiata moltissimo. Ora c’è tutta la situazione dei download e penso che le piccole case discografiche, nel passato, quando posavano gli occhi su un gruppo, stipulavano contratti per 3-4 album. Oggi è già tanto che si arriva a un disco, e se quello non va molto bene, devi trovartene un’altra. Ovviamente ci sono le eccezioni. Di positivo, ci sono molte radio metal oggi, ma non così tante tv che parlino di metal.

– Rimanendo nei primi anni ’80, cosa ricordi di quell’epoca? A chi vi ispiravate?

C’erano molti gruppi della cosiddetta New Wave (New Wave of British Heavy Metal, nda). Come per ogni movimento, quando nasce qualcosa che sembra coinvolgere molte persone, tutte le grandi etichette si fiondano, e le case discografiche indipendenti si muovono di conseguenza, vedendo quanto vendono i gruppi grossi. C’erano veramente tantissime bands, e sfortunatamente, come per ogni corrente o movimento, molte non sono riuscite a emergere, ma alcuni erano veramente bravissimi. I Tygers Of Pan Tang, per esempio. Ovviamente a quell’epoca eravamo tutti fan dei Judas Priest, ma la cosa particolare è che, rispetto agli altri membri dei Saxon, io ascoltavo più progressive. Anzi, non mi classificherei neanche come batterista metal, nonostante lo facciano molte persone.  Originariamente arrivavo dal prog. Il mio gruppo preferito di tutti i tempi sono i Genesis. E sai qual è il mio secondo gruppo preferito? La Premiata Forneria Marconi, dall’Italia. Ho tutti i loro primi album. Ho tutti i primi dischi del Banco del Mutuo Soccorso, amo Le Orme, Goblin, Rush. Come batterista, ti faccio un nome: Franz Di Cioccio. Non immagini le ore che ho passato quando dormivo dai miei, suonando con i PFM nelle cuffie e il mio drum kit. Assolutamente fantastici.

– Possiamo dire che sei l’anima prog dei Saxon?

Ognuno nella band ama cose differenti, è bello perché ognuno ascolta cose diverse, ma abbiamo un minimo comune denominatore. Riguardo il prog, molti gruppi che usano questo termine oggi lo usano in modo sbagliato. Gruppi come Emerson Lake & Palmer facevano qualcosa che nessuno aveva fatto prima, suonavano un minuto rock, poi erano jazz, poi musica classica. Oppure prendi gli Yes: non avevano confini. Oggi certi gruppi che si chiamano progressive non stanno progredendo, stanno semplicemente ricalcando i canoni dei gruppi progressive precedente.

– Lunga carriera significa lunga serie di aneddoti. Ce ne racconti qualcuno?

Innanzitutto, la prima volta che abbiamo suonato dal vivo in Italia (prima avevamo avuto solo sporadiche apparizioni in playback). Il concerto probabilmente era in un palazzetto dello sport o qualcosa di simile, a Milano o Torino, non ricordo esattamente. Noi arrivammo dalle Alpi, credo dalla Svizzera. Al confine, trovammo che il valico era chiuso perché aveva nevicato. Siamo arrivati nel posto in ritardo, mentre il camion con la strumentazione non arrivò proprio. Il promoter ci disse che dovevamo suonare comunque, con il set del gruppo di supporto. Molto interessante, perché io avevo uno strano drum kit, con una sola cassa, il concerto è stato apprezzato tantissimo ma per me è stato un incubo (ride, nda).

– Sei stato anche a San Remo…

Oh si, lo ricordo! Ci andammo quando uscì “Power & The Glory”. È stato divertente, quell’episodio! Noi naturalmente eravamo in play back, all’epoca San Remo era praticamente solo in playback, e in particolare io avevo un drum kit di quelli dei gruppi anni ’60 (ride, nda). Io volevo suonare veramente, volevo sentirmi, ma ero stato posizionato su una piattaforma sopraelevata, e la batteria a ogni colpo di cassa scivolava in avanti perché non c’era nulla a fermarla. La situazione era piuttosto imbarazzante, ci stavano pure filmando. Così, ho adottato una tattica: ho iniziato a tenere d’occhio il cameraman. Quando vedevo che mi stava riprendendo, suonavo, e quando lui spostava la telecamera, io mi alzavo e rimettevo a posto la batteria (ride, nda).

– Con questo divertente aneddoto la nostra intervista è conclusa. Se vuoi, puoi dire qualcosa ai nostri lettori…

Certo. Stiamo lavorando al nuovo album e poi ci saranno dei festival quest’estate. Vorrei ringraziare tutti per il supporto, torneremo a suonare in Italia, spero presto!