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NAHUI – Luca Giancotti

Giocando con note malinconiche e colori tenui, pacati, i Nahui hanno composto un disco d’esordio sorprendente, che richiama grandi manipolatori di emozioni come A Perfect Circle e Paradise Lost e aggiunge nuove sfumature e interpretazioni del lato soft del rock.
Decisamente intriganti dalle sue sonorità, siamo andati a conoscere qualcosa in più su A Blue Fire direttamente dalla sua mente creativa, Luca Giancotti.

Hai avuto finora una carriera abbastanza singolare, dato che ti sei diviso tra progetti di trance/elettronica e altri prettamente rock. Come mai ti sei trovato a fare esperienze tanto diverse? E’ stato solo il frutto delle tue passioni personali o c’è anche un pizzico di casualità?

Il momento elettronico è arrivato quando ero un po’ saturo del rock e delle esperienze che avevo avuto. Comunque parliamo della metà degli anni ‘90, techno ed elettronica erano nel massimo splendore e in evoluzione costante, mentre il rock sembrava un po’ stantio. Diciamo che in definitiva è stato interessante cavalcare quel periodo, anche se oggi mi sento decisamente più vicino al rock che non a quelle sonorità.

Riguardo al titolo del disco, mi ha colpito questa definizione del “Fuoco Blu” come qualcosa che scalda ma non brucia.
Potresti approfondire questo concetto, che tra l’altro è una sintesi riuscitissima del contenuto del cd?

Ti ringrazio, mi fa molto piacere che hai colto il messaggio.

Il blu è relativo alla profondità, all’oscurità.
Andando in profondità si incontra la propria zona d’Ombra, o più semplicemente i nostri blocchi, i nostri difetti.
Quando si arriva in fondo ci sono due possibilità: o si annega (cioè si rimane incatenati, schiavi dei propri limiti), o si prende lo slancio per risalire.
Il fuoco blu è questo: è la forza che irrompe e ti riporta su dopo che si è stati in contatto con il proprio lato oscuro. E’ una forza irruenta, ma non violenta (non brucia), perché la violenza è stata già conosciuta, ed è trascesa.

Le influenze sulla tua musica si ricollegano ad artisti tra i più disparati, in un filo invisibile che unisce A Perfect Circle ad Anathema e Paradise Lost.
Cosa pensi di avere in comune con i gruppi che ho appena citato, e in cosa ti discosti da loro?

Degli A Perfect Circle mi piace l’aspetto evocativo, esoterico, dei Paradise Lost la decadenza e la semplicità allo stesso tempo. Mi discosto rispetto ai primi credo per una attitudine più solare, meno oppressiva, e dai secondi per il fatto di essere a momenti semplicemente rock’n’roll.
Diverso è il discorso per quanto riguarda gli Anathema, band che non fa parte del mio background e che ho scoperto ed apprezzato solo ultimamente.
In molti mi hanno fatto notare delle somiglianze, che però sono assolutamente casuali.

Una band che non ho citato nella recensione, ma che poi mi è venuto da associare a voi in qualche maniera, sono i Klimt 1918.
Che ne pensi?

Penso che sono un gran gruppo. Hanno un loro stile personale, riconoscibile al di là delle scelte di arrangiamento, diverse in ogni loro CD. E hanno una grande facilità nel trasmettere emozioni semplici ed intense allo stesso tempo.

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Le due canzoni che mi sono piaciute di più sono “Christmas” e “Berlin”, con la prima che mostra il lato più delicato della tua musica, mentre la seconda è decisamente più rock. Di cosa parlano?

Sono d’accordo, questi due brani sono in effetti i due “estremi” della mia proposta.
Riguardo a Christmas ti dico che il titolo viene dal fatto che l’ho composta il 25 Dicembre di qualche anno fa, e poiché mi sembrava rispecchiare l’atmosfera del periodo, ho deciso di chiamarla così. La canzone nasce da due sentimenti diversi: uno reale, ed uno immaginario.
Quello reale è relativo al momento di pausa, di riflessione che viene naturale il giorno di Natale dopo le corse, gli impegni di lavoro, ecc… che a Dicembre stressano un po’ tutti, soprattutto se si vive in una grande città.
Quello immaginario invece richiama alle mie origini nordiche (mia madre è danese ed io sono nato in Danimarca): lì le città sono illuminatissime e coloratissime durante il periodo natalizio, come a voler combattere le tenebre che avvolgono quasi tutta la giornata.
Mi ricollego al tema del “Fuoco Blu”: semplicemente, in un momento di riflessione, si scende nell’oscurità cercando di accendere un po’ di luce.
Anche Berlin è collegata al tema del “Fuoco Blu”: rappresenta il momento dell’irruenza, in cui si superano i limiti e le barriere crollano: è anche un omaggio ad un momento storico di grande speranza e apertura verso l’esterno.

La tua musica tocca corde emotive molto diverse, c’è qualche spunto che non è stato colto da recensori/ascoltatori che ti preme sottolineare?

Ti ringrazio per la domanda, non ci avevo riflettuto fino ad ora!
In effetti devo dire che le sfaccettature sono state colte, magari non da tutti, ma in generale chi ha apprezzato l’album ha colto il messaggio fino in fondo.

Chi sono i musicisti che ti hanno aiutato in “A Blue Fire”?

Con Ascanio Borga (synth su “Broken Glasses”) suonavo thrash/death al liceo.
Poi entrambi siamo passati all’elettronica, dalla Gabber ad Aphex Twin; io sono tornato al rock, e lui ha virato invece sull’ambient.
Da diversi anni incide dischi di questo tipo di musica, e il prossimo finalmente sarà prodotto da una etichetta indipendente; comunque è prima di tutto un buon amico ed un musicista competente.
Stefano Zanetti (chitarre addizionali su “Unlock the Door” e “After the Wave”) mi ha dato una mano a portare live il progetto Nahui in quelle rare occasioni in cui ne abbiamo avuto la possibilità. E’ un ottimo chitarrista, migliorato tantissimo nel tempo, ed è attualmente a Londra per promuovere i suoi brani.
Andrea Martella è un batterista che viene dal pop e, curiosità, ha anche partecipato a Sanremo (nel ’98 se non erro). Si è però appassionato al progetto e vi ha lavorato con grande dedizione e serietà, in modo estremamente professionale.

Hai già qualche idea su quali coordinate sonore porterai in futuro i Nahui?

Me lo sto chiedendo proprio in questi giorni.
Credo che la componente melodica/melanconica verrà fuori in maniera più decisa: al momento però ho solo una manciata di brani, e nulla di definitivo.

Che reazioni ha avuto in Italia e all’estero il tuo disco?

Ha ricevuto giudizi molto diversi; mi sembra che all’estero sia apprezzato di più rispetto che in Italia. Penso che sia un lavoro particolare, che necessità un po’ di calma e concentrazione per essere capito, e che non necessariamente incontra i gusti di tutti.
Comunque, come accennavo prima, chi lo ha saputo apprezzare ne ha colto l’essenza fino in fondo, e questo per me è l’aspetto più importante.

Che ricordi hai delle tue passate esperienze di musicista? Qualche rimpianto per progetti che sarebbero potuti andare meglio, oppure guardi al passato senza rimpianti?

Finchè ho riposto delle aspettative nella musica ho raccolto poco o nulla.
Quando ho rinunciato ad impormi obiettivi, scadenze, doveri ecc, e ho iniziato a suonare per piacere, secondo le mie coordinate, e non quelle suggerite da qualcun altro (sembra una cosa banale ma non lo è affatto), qualche soddisfazione me la sono tolta.
Rimpianti ne ho parecchi, ma alla fine ogni esperienza è stata un tassello importante per arrivare a capire quello che volevo davvero.

Ci saranno possibilità di vedere i Nahui dal vivo?

Al momento sto lavorando in questo senso, spero a breve di portare il disco live, quindi rimanete sintonizzati!