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SLOUGH FEG – Mike Scalzi

Gli Slough Feg non tradiscono mai. Ogni loro album possiede la magia della musica che trascende il tempo e lo spazio, svincolata dalle logiche delle mode e del mercato, asservita soltanto al desiderio di esprimere le emozioni più genuine attraverso le sette note. “The Animal Spirits” non fa eccezione in questo senso e rapisce l’anima con azzeccati richiami ai Thin Lizzy e all’hard rock metallizzato in genere. Per capire come riescano i nostri a concepire capolavori di tal fatta siamo andati a interrogare direttamente il loro leader indiscusso, quel Mike Scalzi che mai sarà una rockstar, ma che possiede un carisma che tanti personaggi ben più acclamati si sognano. A voi questa lunga disquisizione su musica, spiriti animali e senso della vita col buon Mike.

Gli “Spiriti Animali” si riferiscono al lato istintivo degli esseri umani, quello che permette loro di avere un comportamento simile, in alcuni aspetti, a quello degli abitanti del regno animale. Pensi che le persone dovrebbero farsi guidare maggiormente dall’istinto per vivere meglio? Non credi che siamo in un mondo con troppa razionalità e controllo sulle nostre azioni?

Non è propriamente questo il significato degli “Spiriti Animali”. Più precisamente, si tratta di una teoria aristotelica della percezione, e al momento credo che le persone necessitino della razionalità più di ogni altra cosa. In tempi come questi, se segui i tuoi istinti, rischi di iniziare ad andare in giro ad ammazzare delle persone. Da un certo punto di vista, il maggior ricorso alla propria istintività potrebbe dare dei benefici, chissà, probabilmente nel lungo periodo l’umanità beneficerebbe da una deriva verso il basso, nella direzione del proprio io primitivo, ma non vorrei sicuramente farmi promotore di una idea del genere.

Siete meno frenetici in “Animal Spirits” rispetto a “Ape Uprising”; volevate suonare più rilassati e tranquilli che nel disco precedente?

No, a dire il vero no. Volevamo soltanto dedicarci a canzoni diverse. Ci siamo concentrati maggiormente sul songwriting questa volta. L’album ha in generale tonalità più basse, perché i tempi delle canzoni e le parti strumentali sono più controllate.

La produzione è molto vintage, come sempre del resto: qual è la giusta alchimia per mantenere un sound così unico ed efficace? Avete lavorato in modo diverso su questo aspetto, nel confronto con “Ape Uprising”?

Ancora una volta, non posso che parlarti del processo di songwriting. Ho deciso che dovevamo suonare differenti da “Ape Uprising”. Come strumentazione, ci siamo avvalsi della stessa dotazione tecnica del disco passato. Può darsi che abbiamo speso un po’ di tempo in più sui suoni di chitarra, ma in questo caso c’è stato un sforzo per rendere le sei corde realmente diverse da come suonavano negli altri album, che alle mie orecchie cominciavano a sembrare tutti uguali. Arrivati a questo punto della carriera, non c’è alcuna ragione per cui dovremmo ripetere lo stesso disco all’infinito.
Potrebbe essere una buona idea se fossimo gli Iron Maiden e potessimo guadagnare milioni di dollari rimettendo sul mercato lo stesso prodotto passato un certo numero di anni, ma visto che la realtà non è esattamente questa e non abbiamo alcun incentivo economico al riguardo, non c’è motivo di fare una cosa del genere. Noi incidiamo musica per divertimento, per far qualcosa di buono soprattutto per noi stessi. Se poi le nostre canzoni piacciono anche a qualcun altro, tanto meglio.

Qual è il contributo portato da ogni membro del gruppo alla composizione dei pezzi?

I primi credits per il songwriting da parte di Angelo sono arrivati per “Tactical Air-war”. E’ la prima volta che accade. Per il resto ho scritto quasi tutto io, questa volta è andata così. Poi c’è da dire che ognuno dà il suo contributo alle parti che suona, perché io scrivo le canzoni, ma gli altri inseriscono modifiche e armonie, alla fine il nostro è davvero un lavoro di insieme. Non dico mai agli altri come devono suonare esattamente, se fosse così non potremmo ritenerci una vera band, nel senso stretto del termine.

“Free Market Barabarian”, “Lycanthropic Fantasies”, “Kon-Tiki” hanno un forte sapore folk. Quali sono le caratteristiche del folk che ti affascinano maggiormente?

Non sono d’accordo sul fatto che “Free Market Barabarian” suoni così folk. E credo che non sia così nemmeno per “Lycanthropic Fantasies”, attualmente non sono proprio interessato alla folk music. Non l’ascolto mai, a meno che tu non consideri folk Simon and Garfunkel, perché per me non lo sono. Alcune nostre song hanno qualcosa di folk, ma non saprei dirti il perché, diciamo che ci vengono così naturalmente, senza pensarci su. Comunque non ho mai ascoltato musica folk, in prevalenza sento rock e metal, e in misura minore la classica e quella scritta per i musical (Mike la chiama “show-tune music”, n.d.r.). I miei generi favoriti rimangono comunque il vecchio rock and roll e il metal.

“The Tell-Tale Heart” è una cover degli Alan Parson’s Project. Perché avete suonato una cover di questa band? Siete rimasti vicini alla versione originaria o le avete dato una forte impronta personale?

Chi la ascolta è il miglior giudice possibile per poter affermare se la nostra cover è simile o meno all’originale. Abbiamo deciso di proporla in “Animal Spirits” perché è un bel pezzo, tutto qui. In secondo luogo, è cantata da Arthur Brown, il che è grandioso! In verità non sono un grande fan degli Alan Parson’s Project, mentre adoro Arthur Brown. “The Tell-Tale Heart” è una gran canzone e mi piace sempre mettermi a suonare musica di questa levatura.

“Tactical Air-War” vede la presenza di Bob Wright dei Brocas Helm alla voce. Come mai avete deciso di coinvolgerlo in questo album?

Semplicemente perché è un mio amico e mi piace la sua voce. Sono stufo di dover cantare tutto io, e allora ho pensato che sarebbe stata una bella idea chiedere a Bob di mettere la sua voce al servizio degli Slough Feg per un brano. E così è stato. Abbiamo lavorato alla grande insieme, credo che il risultato finale sia assolutamente all’altezza, Bob ha compiuto un ottimo lavoro. I Brocas Helm sono una sorta di band “sorella”, abbiamo grosse similitudini e “Tactical Air-War” lo mostra chiaramente, spiega perfettamente i motivi della nostra collaborazione con Bob.

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Avete un grande feeling con quei personaggi considerati “outsider”: le scimmie ribelli di “Ape Uprising”, i cani antropomorfi di “Traveller”, l’astronauta sulla cover di “Hardworlder”. Perché siete così interessati a questo tipo di personaggi?

Beh, mi pare una cosa abbastanza ovvia, perché rappresenta la visione che ho sempre avuto di me stesso. Tante persone vedono se stesse in questa maniera. Io mi sento alienato, come molti, così cerco di esprimere questo sentimento attraverso le canzoni che scrivo. L’alienazione può causare una grande ansietà e ritengo sia basata su un’allucinazione, in un certo senso. Ma è un’allucinazione a cui partecipiamo tutti quanti. Noi tutti siamo isolati gli uni dagli altri, e dal mondo. Questo provoca dei problemi, la tecnologia può accrescere questa sensazione, perché anche se la comunicazione attraverso di essa è più facile che in passato, comunque tende a isolare le persone dalle interazioni del mondo reale. A causa delle nuove tecnologie tendiamo a ritenerci meno dipendenti gli uni dagli altri, in realtà noi così diventiamo più dipendenti dagli altri esseri umani, ma non ce ne accorgiamo. Cosa succederebbe se il nostro computer si rompesse? E se andasse via la corrente? E se si spegnessero le telecomunicazioni? Tu non potresti fare questa intervista, e non potremmo più sapere nulla l’uno dell’altro. Non sentiresti nuovi dischi, o non vedresti nuovi film o non potresti parlare con qualcuno dall’altra parte del mondo.
Dovremmo essere costretti a dipendere maggiormente sulle persone nelle nostre immediate vicinanze, come la persona che vive nell’appartamento sopra il nostro, che magari normalmente nemmeno conosci. Perché di solito non sappiamo chi sono i nostri vicini? Perché, molto semplicemente, non hai bisogno di loro, perché vivi isolato da loro, a causa della tecnologia. Questa è alienazione, e fino a un certo punto ce ne accorgiamo pure, ma nel momento in cui ci dovessero togliere tutti i mezzi moderni, ci sentiremmo probabilmente ancora più isolati di prima. Noi abbiamo bisogno gli uni degli altri, è sempre stato così nella storia dell’uomo e sempre lo sarà.

Metà della band ha chiare origini italiane: hai qualche collegamento, attualmente, con il nostro paese?

Dei miei parenti italiani non so praticamente nulla. Mio padre mi dice che se li incontrassi e scoprissero che sono americano mi chiederebbero sicuramente dei soldi!!! Mio padre proviene da una zona molto povera della Calabria, dalla campagna dove si producevano le olive, su nelle montagne, e ha perso ogni contatto con le persone di quella terra. In un certo senso è triste.
Molti di quelli che conosceva di quei luoghi, come i suoi cugini, sono venuti in America più di cinquant’anni fa, così i legami con i parenti rimasti in Italia si sono persi. Mi piacerebbe vedere i vecchi villaggi, ma non credo che riuscirei a ritrovare gli Scalzi tanto facilmente.

Dando uno sguardo al passato, qual è secondo te il miglior album degli Slough Feg e quello che non ti soddisfa appieno?

“Down Among The Deadmen è probabilmente il migliore, con “Twilight Of The Idols” è il mio preferito. Anche se mi piacciono tutti i dischi che abbiamo prodotto, credo che “Traveller” sia quello che mi convince meno. Lo ritengo troppo lungo e ha alcuni pezzi che mi annoiano. Anche su “Hardworlder” ci sono un paio di canzoni che non sono venute bene come avrei desiderato. Però alla fine apprezzo tutti i nostri album.

Nel 2011 suonerete in Europa all’Headbangers Open Air, uno dei più importanti festival in tema di metal classico. Siete eccitati per questo evento? Vi piacciono i festival europei?

Ci sto pensando, in effetti. a questo evento. Torneremo in Germania e pure in Inghilterra e Portogallo, vedremo alcuni nostri amici che non abbiamo più incontrato dall’ultima nostra calata europea, cinque anni fa.
Saranno grandi momenti, gli show dovrebbero sempre essere un gran divertimento. Questa è la mia attitudine in questo periodo, se non mi divertissi non ne varrebbe la pena. Abbiamo fatto in passato molti tour decisamente impegnativi, una gran quantità di dischi prodotti con budget risicatissimi, viaggi, ho amato ogni momento vissuto dalla band, ma ora preferisco concentrarmi sul fatto di divertirmi e di pensare meno a certi sbattimenti. Di sacrifici per la nostra musica, per i fans, ne abbiamo fatti tanti in vent’anni di attività, ora è il momento di godere un poco di quello che abbiamo creato, e intendo farlo appieno.
Infine, grazie dell’intervista!