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Macigni: VOID OF SLEEP – STORM {O} – SCUM FROM THE SUN – GENGIS KHAN VOODOO JACKET

Macigni è una iniziativa volta a far conoscere il sottobosco metal italiano, mettendo in cartellone una volta al mese al Lo-Fi un estratto di quanto di buono si annida nelle sale prove dello Stivale, senza distinzioni di sottogeneri e infischiandosene di finti problemi circa le differenze stilistiche intercorrenti tra i gruppi. Mancano le sonorità più tradizionali, per il resto ci si sbizzarrisce nelle diverse serate a metter in fila doom, stoner, sludge, math-core, industrial, psichedelia, sperimentazioni assortite e quant’altro vi venga in mente di associare a metal e affini. La scelta del sabato quale serata dedicata è un segnale importante, vuol dire che questo formato è pensato per attrarre quanta più gente possibile, altrimenti le band verrebbero piazzate in un giorno in cui le persone fanno ancora più fatica a uscire dal proprio guscio e andare a scoprire qualche nuova meraviglia. Per il terzo appuntamento la line-up è alquanto eterogenea, si spazia dal post-core all’hard/metal stonerofilo, inframmezzato da math/core sfiorato dallo screamo e macerie industriali. Il Lo-Fi inizia timidamente a popolarsi per le 22.30, orario fissato per l’avvio dei concerti. Alla fine le presenze saranno una cinquantina, non molte ma in linea con molti eventi di gruppi con più “nome”.

GENGIS KHAN VOODOO JACKET

 Accorti e misurati nel prendere possesso dello stage, i Gengis Khan… si annunciano come entità malinconica, rasentante suoni autunnali e grigi. L’inizio soffuso fa da preludio a una mareggiata di squassanti chitarroni in linea con i primi lavori dei Cult Of Luna e degli Isis, che sospingono a umori decisamente più virili e ruggenti. Il disegno di queste sculture elettriche è riconoscibile nelle fonti di ispirazione ma riesce a non essere troppo derivativo e si possono apprezzare linee armoniche di apprezzabile fattura e considerevole spinta ritmica. Si potrebbe invece sfrondare sugli intermezzi che fanno molto jam session, le sezioni di quiete potrebbero essere condotte con piglio maggiore, questi contrappunti strumentali così leggeri rischiano di annacquare la forza emotiva del combo. I Gengis Khan…. mantengono comunque alta l’attenzione e destano l’interesse di chi ha avuto la pazienza di seguirli negli ampi giri strumentali affrontati, mettendo in pieno comfort gli intervenuti.

SCUM FROM THE SUN

 Viene piazzato un piccolo catafalco pieno di fili e manopole al centro del palco, e un figuro mezzo rasato e mezzo rastone comincia ad attaccare cavi da tutte le parti. A quanto pare sa dove metterli, non parte nessun corto circuito. Siamo al contrario investiti da un cantato recitato in italiano, immerso in samples non particolarmente rumorosi e adombrati da un doppio rimbombar di basso, ognuno su frequenze tutte sue. Sfuggenti, gli Scum From The Sun, a cui l’etichetta industrial va stretta, li limita e distorce l’impressione che si può avere del loro operato. Non ci sono i classici disturbi e rumori industriali, le infiltrazioni di suoni deumanizzati sono sottili e intrusive senza dover violentare le orecchie. La voce nel corso dell’esibizione praticamente sparisce, il rintocco ritmico si fa cullante, l’impalpabilità e la destrutturazione la fanno da padrone e si fatica a cogliere un nesso tra gli spaccati sonori prodotti. L’insieme è interessante e allerta i sensi, si spinge verso una sperimentazione per ora abbozzata e non completamente dischiusa verso connotati definiti nei dettagli. Già fin d’ora la proposta ha una sua organicità e sa prendere, ma si attendono sviluppi.

 STORM {O}

 Gli Storm {O}suonano in mezzo al pubblico, davanti al mixer. Le esigenze di un veloce cambio palco costringono di fare necessità virtù, e ciò non è un male. La distanza azzerata con chi assiste è manna dal cielo per un combo ispidamente hardcore come i Nostri, dirompente e dalle mosse fisico/musicali altamente epilettiche. Stringendo forte il microfono vintage, Luca si contorce e si accartoccia nel dare risposta fisica alle urla isteriche veicolate dalla sua ugola, urla che scartavetrano le orecchie degli udenti, salvo accarezzarle per brevi tratti con cadenze screamo. La musica cataloga un ventaglio di contaminazioni con l’operato degli illustrissimi The Dillinger Escape Plan dei primi tempi e dei Converge, mediati da un bisogno impellente di sintesi che porta gli Storm {O}a stringere in spazi molto stretti un enorme carico di frustriazioni, tensioni, storti percuotimenti e coltellate allo stomaco. Passaggi sparatissimi e spezzettati sono solo in parte mitigati da una emozionalità mai cavalcata fino in fondo ma che si scava una particina importante nell’insieme. Il contatto quasi fisico col cantante, che si dimena istintivo a pochi centimetri da chi ha davanti, accresce la sensazione di trovarsi davanti ha un gruppo che ha molto da comunicare e da trasmettere, slegato dalla convenzionalità e coinvolto solo ed esclusivamente nella propria musica, fottendosene di richiamare alla mente questa o quell’altra band. Per quel che mi riguarda, i migliori della serata.

 VOID OF SLEEP

 Celebrati da più parti come una sorta di Mastodon italiani, i Void Of Sleep si rivelano essere “solo” un’ottima creatura di stoner/hard rock/metal dall’ottimo bagaglio tecnico-compositivo e sgamata nel condurre il live. Non per mortificare quanto di buono i ravennati sanno proporre, ma la somiglianza coi mostruosi fenomeni americani non è così spiccata e direi anche che il paragone con una band di tale calibro e così caleidoscopica potrebbe impedire un reale apprezzamento degli autori di “Tales Between Reality And Madness”. I quali mettono in mostra una rotondità dei giri chitarristici notevole, che li pone come trade d’union di hard rock settantiano, psichedelia dura e metal in odore di stoner, o stoner metallizzato se preferite. I riff sono accattivanti e in grado di ficcarsi in testa in un secondo, la voce cavernosa di Burdo, né troppo sporca né eccessivamente morbida, accattiva e graffia, si produce in linee vocali che ricordano un po’ quelle di Giacomo H Boeddu degli Isaak, ottenendo lo stesso effetto di ammaliamento e di calore infuso alle canzoni. Del contenuto numero di persone davanti al palco, si percepisce che una buona percentuale di costoro già conoscono il combo e hanno ben assimilato in questi mesi i contenuti del disco d’esordio. La band se ne compiace e ringrazia sentitamente, mettendo tutta se stessa per garantire uno show all’altezza. I Void Of Sleep si destreggiano in una selva di riff tonanti torniti con precisione certosina, intrusioni psichedeliche, abbrustolimenti stoner, messi in fila da un songwriting asciutto, nel quale le notevoli doti strumentali dei quattro lavorano di squadra e non si lanciano in deliri da autocompiacimento. Assoli di lignaggio e preziosismi ritmici si fanno comunque sentire e i tre quarti d’ora in balia dei ravennati scorrono piacevolmente, certificando che “Tales…” non è solo il frutto di una accurata opera di assemblaggio in studio, ma una creazione pulsante vitalità e perfettamente riproducibile dal vivo.