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Wacken Open Air 2011 – Parte 2

Report a cura di Dario Mauri e Bryan Andrea Loforese


ENSIFERUM


Un sole cocente di mezzogiorno accoglie i finnici Ennsiferum in questo secondo giorno di festival. Iniziando con By The Dividing Stream e la traccia omonima del disco From Afar danno una bella sveglia al pubblico presente ancora un po’ assonnato per la baldoria della notte precedente. Le potenzialità live della band comunque non tardano ad infondere un po’ di adrenalina e pezzi come Twilight Tavern e Battle Song danno una scossa a tutti i presenti. Petri & co rigorosamente a petto nudo e kilt sfoderano una cattiveria non indifferente e coinvolgono fra battleroar  e cori trascinanti che non fanno mai calare di tono lo show, La setlist a seguire verte maggiormente sul disco From Afar senza però dimenticare i cavalli di battaglia dei nostri vichinghi come Tale of Revenge. Stone Cold Metal dall’intro westerneggiante e l’ormai classica Iron portano alla conclusione di quello che può essere definito un abbondante antipasto della giornata.

HEAVEN SHALL BURN 


Giocano in casa e martellano peggio del dio Thor. Sono gli Heaven Shall Burn, band deathcore del panorama tedesco moderno, band in continua ascesa e sempre più estrema. Forti dell’uscita del loro ultimo album “Invictus” coi loro temi antinazisti, animalisti e perbenisti la band si ripropone sul palco del WOA con cadenza biannuale, con le solite camice rosse e una violenza assoluta e forse irraggiungibile da qualunque altra band on stage in questi giorni. 14 sono le canzoni a far parte di una setlist devastante e mozzafiato dai classici “Forlorn Skies” o “Whatever It May Take” fino alle pesantissime e più recenti “The Omen” e “I Was I Am I Shall Be”. La tensione resta sempre altissima e molte volte addirittura i suoni si rivelano essere eccessivi per uno standard così alto di estremismo musicale. Come (quasi) tutte le band locali il loro interagire col pubblico è stato in lingua madre e quindi assolutamente impercettibile nei contenuti da parte dei forestieri ma sicuramente alla gente del luogo avrà fatto largamente piacere dato il boato e l’esplosionedi gioia, nonché di un circle pit con conseguente wall of death, sulle note di “Endzeit” che nonostante il nome in tedesco è poi una delle tante in lingua inglese. Ma la multietinicità dello show non finisce qui perché la band saluta gloriosamente tutte le migliaia di fans in assoluto godimento davanti a loro con una cover storica degli Edge Of Sanity (death metal band svedese anni ’90) proponendo “Black Tears” tratta dall’album “Purgatory Afterglow” del 1994. Applausi, ringraziamenti e fine dei giochi. Confesso di aver sbadigliato a volte lungo tutta la durata della loro apparizione. Tutto all’ennesima potenza lascia un po’ perplessi e poco soddisfatti.

KREATOR


Restiamo in Germania. Si, non siamo scappati! Anche perché sul palco si spengono le luci e l’atmosfera si fasempre più micidiale e dannata. I Kreator salgono a bordo e iniziano il loro show con “Choir of the Damned”,  ormai storica intro da 25 anni seguita da “Hordes of Chaos” datata invece 2009. Questo particolare di alternare classici intramontabili a nuove perle moderne è davvero sintomo di grande elasticità e professionalità della band del sommo e immenso Mille Petrozza, frontman assoluto e dall’inesauribile voce pulita e sporcata all’occorrenza, potente e agghiacciante in altri momenti; insomma, un fenomeno da palco. Senza pietà per le orecchie dei presenti i Kreator sfoderano un pezzo devastante dopo l’altro da “Warcurse” a “Endless Pain” fino a “Pleasure to Kill” e “Destroy What Destroys You”. Tutto a ritmi serratissimi complice l’ottimo stato di forma della band e la carica sovraumana che solo un live a Wacken (in casa) da “quasi” headliners può darti. La folla è in delirio con “Enemy of God” che si rivela poi essere una delle più intense e tirate di tutto lo show, una di quelle più interessanti anche per chi non dovesse conoscere questi mostri sacri del thrash metal teutonico che ben poco hanno da invidiare a bands ben più blasonate ma d’origini statunitensi. Insomma, un live da brividi con successioni di ritmi da blocco di cardiopalmo per eccessiva velocità. Dopo 12 album la ruggine non sembra averli proprio intaccati nonostante gli alti e bassi di qualche anno fa. Il finale è poi da fuochi d’artificio e botti altisonanti grazie alla tripletta dei tempi d’oro composta da “Betrayer”, “Tormentor” in chiusura ma soprattutto “Flag of Hate”, da sempre una delle loro bandiere (passatemi il gioco di parole) capace ancora oggi dopo 25 anni di incendiare gli animi e scaldare questa fredda notte a Wacken.

VAN CANTO


Impressionante. Questa è la parola giusta di fronte alla folla che si è radunata al party stage per i Van Canto. Avevo già visto i Neri per Caso del metal qui a Wacken e mai mi sarei aspettato una simile affluenza dati gli anni passati. Forse anche per questo i componenti hanno mostrato una grandissima carica in questo show pomeridiano. Philip salta come una pallina sul palco trascinando il pubblico con grandissimo impegno e si prende il tempo per chiacchierare per presentare il pezzo successivo e fare battute qua e la. Insieme a Inga dormano una grande coppia che in sede live trasmette una carica notevole.
La scaletta è ricca di cover vecchie e nuove dei generi più disparati rivisitati con grande tecnica e di qualche pezzo originale. Si passa da Wishmaster dei Nightwish al power dei Sabaton con Primo Victoria, passando per Master of Puppets e The Bard’s Song. Per le loro creazioni attingono più che altro da Tribe of Force come One to Ten, To Sing a Metal Song e Water Fire Heaven Earth.
La tecnica di tutti i componenti è impressionante e l’effetto creato in sede live non toglie niente a ciò che si può gustare su disco.
Spinto dalla quantità di crowdsurfer presenti a fine concerto anche Philip si lascia trasportare e senza esitazione si lancia sul pubblico che lo trasporta per tutto lo stage. Davvero un ottimo show.

RHAPSODY OF FIRE


Attendevo trepidante questo show per due semplici motivi: sia perchè vedere un gruppo italiano ad una kermesse come Wacken è sempre piacevole (come fu’ l’anno scorso con i Lacuna Coil) e sia perchè l’ultima volta che vidi dal vivo Turilli & co risale a circa 4-5 anni fa’. Quest’anno sembra che il party stage sia il palco delle sorprese e infatti la folla che si è radunata per l’occasione è davvero incredibile, è difficile da credere che in germania i Rhapsody abbiano un tale pubblico al seguito. All’intonare di Triumph of Agony ecco alzarsi il boato del pubblico. Lione entra in scena sfoderando una carica grezza e aggressiva che regala una performance vocale di grande impatto attaccando senza esitazione con Holy Thunderforce. Tutto il gruppo segue fedelmente il frontman muovendosi con grande disinvoltura denotando il fatto che i nostri ragazzi si divertono da matti sul palco. I classici si sprecano con Dawn of Victory, Unholy Warcry e l’ottimamente eseguita Lamento Eroico. Impressionante quanta gente teutonica vicino a me conoscesse perfettamente le parole del testo nonostante fosse in italiano. Sfortunatamente non è stata proposto nessuno dei pezzi dell’ultimo album ma altri che sono stati un po’ una sorpresa piacevole in ambito live come The Village of Dwarves e On the Way to Ainor. Ad accompagnare la chiusura non poteva mancare Emerald Sword. Qui il pubblico è decisamente esploso con tutti i presenti che cantavano a squarciagola e facendo fioccare crowdsurfing. Sea of Fate funge da calma dopo la tempesta per chiudere uno show di cui andar fieri. Grandiosi!

TRIVIUM


In quasi concomitanza con l’uscita del loro ultimo disco chiamato “In Waves” ecco gli americani Trivium e illoro metalcore classico. Una delle prime band a lanciarsi in questo fortunato e fantastico genere capace di dare ancora un po’ di ossigeno al metal moderno, chi ha delle lamentele per questo forse dovrebbe pensari un po’ su prima di sparare a zero e lamentarsi. I Trivium infatti anche qui in Germania raccolgono fiumi d’applausi e a detta mia strameritati! Tutto inizia con le note introduttive di “Capsizing The Sea” nuovissima intro del già citato ultimo album che si chiama appunto come la prima canzone suonata a questo live: “In Waves”! Potente e distruttiva, lenta e scattante, melodica e brutale sta già raccogliendo parecchi consensi tra i fan di vecchia data rimasi un po’ con l’amaro in bocca dopo il non troppo convincente “Shogun” del 2008. Gli animi qui si scaldano e “A Gunshot To The Head Of Trepidation” esplode dal palco come una bomba ad orologeria, chi la conosce sa di cosa si parla: di parla dell’album della loro consacrazione “Ascendency” che vede anche l’uscita del loro primo video nel 2005. Proseguendo con lo show odierno eccoci a “Dusk Dismantled” tratta dall’ultimo album e ancora “The Deceived” tornando al 2005. E’ un continuo alternare nuovi stimoli a vecchie glorie forse facendo intendere ai fans che i Trivium sono ancora carichi e pieni di cose da dire in questo panorama, che loro ci sono e vogliono stare. L’altalena prosegue con “Black”, stranissimo pezzo molto introverso e articolato sempre estrapolato da In Waves e il capolavoro “Like Lights To The Flies” una perla di rara fattura satura di riffs metalcore e ritornelli melodici. Tutto si conclude fin troppo velocemente e senza nessuna pausa se non 1, quando Matt Heafy chiede a tutti un dannato Circle-Pit ottenendolo senza troppo indugi da una folla infuocata e indomabile. Quale migliore occasione se non le note introduttive di “Pull Harder”? Come se non bastasse il finale è tutto nelle sapienti lame affilate di Shogun con “Down From The Sky” e “Throes Of Perdition”. In un’ora e 10 brani eseguiti la band si dimostra una delle migliori tra tutte nel festival dal punto di vista esecutivo.

JUDAS PRIEST


Eccoci all’ora X, il momento che il 99% degli spettatori di Wacken di quest’anno aspettavano: i Judas Priest. Essendo questo ciò che hanno indicato sulla locandina ‘The only German show in 2011’ l’affluenza è pressochè totale di fronte al True Metal Stage. Si intonano le note di Rapid Fire, 80 mila persone acclamano in coro il gruppo e lo show ha inizio. La voce senza tempo di Rob stupisce concerto dopo concerto e viene da chiedersi come possa dopo tutti questi anni proporre ancora acuti pazzeschi. Certo, qualche acciacco qua e la è visibile ma completamente perdonabili di fronte ad una tale tecnica e potenza. La scaletta spazia per tutta la loro carriera, da Metal Gods a Blood Red Sky, da Victim of Changes passando per Painkiller fino a Electric Eye. È curioso che una volta finita Painkiller sono andato a prendere una birra al Beer garden per riprendermi un attimo e lì gli Haysee Dixie stavano suonando lo stesso pezzo rivisitato in chiave country americano. D’altronde anche questo è Wacken. Presenti anche le ormai classiche e immancabili cover Diamonds and Rust e The Green Manalishi. Discutibilissima la scelta di proporre Breaking the Law in versione ‘strumentale’ con Rob che porgeva il microfono al pubblico. Sinceramente avrei preferito nettamente che l’avesse cantata. 

Passate due ore si termina dopo il secondo encore con Living After Midnight che fornisce una gran chiusura di questo secondo giorno di Wacken e di uno di quelli show che solo i Judas Priest sanno regalare.

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