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Wacken Open Air 2011 – Parte 3

Report a cura di Dario Mauri e Bryan Andrea Loforese

ICED EARTH


Signore e signori, questa di Wacken 2011 è stata la definitiva dipartita di Mr. Matt Barlow dai grandi IcedEarth. Purtroppo è davvero la fine. Già al primo addio molti cuori si infransero (il mio ad esempio), poi con il suo folgorante ritorno in stile J.Frusciante i pezzi furono rimessi assieme ma ora è davvero la fine! Quale migliore panorama se non i centomila di Wacken? Tra le lacrime finali e gli abbracci si vede la fine di un mito e l’insicurezza del futuro dato che già in passato la sua separazione lasciò non poco perplessi con la venuta di Tim “Ripper” Owens, l’eterno sostituto. Il problema principale è che Matt Barlow è senza dubbio una delle migliori voci che il metal abbia mai conosciuto e per questo lo ringraziamo e lo abbiamo fatto applaudendo fino ai limiti del possibile questa immensa star. Poco importa il perché, quando qualcosa finisce. L’importante è la fine. Il live degli Iced Earth lascia tutti senza fiato, tra infiniti cori e applausi tra una canzone e un’altra di una setlist impressionante e stracarica di pezzi uno meglio dell’altro. Tutto finisce con “Iced ‘Motherfu*king’ Earth” così come la grida Matt per annunciarla. Prima di questo momento però c’è tutta la storia della band riassunta in 1 ora di scaletta. Iniziando dalle note introduttive di “1776” legate a “Burning Times”. In successione poi “Declaration Day” che ovviamente Matt canta meglio dell’originale voce di Tim Owens, “Vengeance Is Mine” e “Violate”, l’inaspettata “Last December” nella sua totale oscurità e “I Died For You” altra perla di Dark Saga come la successiva “The Hunter”. Andare a proporre qualcosa da ognuno dei favolosi album della band rischia di essere impossibile per tempistiche e altro ma un assaggio di Horror Show con “Jack” (anche se ci si poteva aspettare qualcosa di più) per chiudere il tutto con la magica trilogia di Something Wicked: “Prophecy” e i brividi capace di regalare, “Birth of the Wicked” serrata e veloce ma soprattutto l’immensa e prolissa “The Coming Curse”. 

Addio Matt e buonafortuna, resterai sempre l’unica voce degli Iced Earth e tutto il popolo metal è concorde!

SEPULTURA


Non avendo avuto ancora la fortuna di sentire il buon Derrick Green alla voce ammetto che questo show mi incuriosiva parecchio. Nonostante a parer mio non si possano più devinire la stessa cosa che i fratelli Cavalera crearono anni orsono la voglia di risentire a Wacken i carioca death metaller era tanta. Derrick dimostra comunque grande impegno e stupisce positivamente partendo con la storica Arise. Ovviamente il carisma di Max e la sua grinta sono ben lontane, ma Green non le fa rimpiangere più di tanto dimostrandosi un buon portatore del fardello che ha preso a carico. Ad ogni modo continuare su rapporti tra i due cantanti suona oramai di vecchio e bisogna accettare che questi sono i Sepultura di oggi, che piacciano o meno. Derrick non vuole emulare ma dare la sua personalità sia su disco che su stage. L’aggressività infatti è ai massimi livelli e mantiene alto il livello di carica fra il pubblico generando pogo qua e la e piccoli wall of death di contrabbando (da due anni a questa parte vietati a Wacken). Il tempo non è molto clemente e inizia una timida pioggia ad accompagnare la chiusura con Roots Bloody Roots che scatena lotte folkloristiche nel fango.

DIR EN GREY 


Siete venuti a Wacken (o peggio ancora, non ci siete venuti) con l’idea di trovare solo metallo martellante?Siete rimasti con la concezione classica della musica metal e non andate oltre il 1989? Credete ancora che tutto sia morto e niente possa cambiare o far sperare in una resurrezione generale della musica che conta?! Folli! Mediocri! Ecco a voi i Dir en grey (attenzione a scrivere il loro nome con solo la prima lettera in maiuscolo!). Vengono dalla terra del sol levante (si, sono giapponesi!) con un bagaglio tecnico, artistico e di fantasia davvero invidiabile. Non si può che restare a bocca aperta nel vederli sul palco, magari oggigiorno un po’ meno che nel passato quando cavalcavano l’onda del Visual Kei J-Rock; chi lo conosce sa di cosa parlo, chi non lo conosce può tranquillamente fare una ricerca nell’internet. Ciò che li ha sempre contraddistinti, e credetemi mai parola fu più azzeccata, è la loro forte vena oscura che li brama dal midollo, la loro camaleontica pelle e le infinite sfaccettature che la loro musica può incontrare. Alla loro seconda apparizione qui a Wacken (la prima fu nel recente 2007) sfoderano 13 pezzi senza una parola tra l’uno e l’altro. E forse c’è da capirli, date le origini. In maniera del tutto spavalda e impavida aprono la scena con una premiere, una canzone presentata in anteprima intitolata “Tsumi To Kisei” che purtroppo non riesco a tradurvi ed è già tanto che riesca a scrivervi in giapponese tradotto. Già perché non è insolito trovare all’interno di un qualunque loro album (e al di là di quello che si può pensare, la band è già al suo decimo) brani in inglese, in giapponese e in giapponese tradotto per i più. A seconda di come gira alla band. La loro genialità non finisce qui e la cosa ormai è sempre più clamorosa e d’attualità dato che sono riusciti anche a comparire qualche anno fa nella colonna sonora di del horror movie Saw 4 con un brano chiamato “Hageshisa To, Kono Mune No Naka De Karamitsuita Shakunetsu No Yamy” che non tarda a comparire anche qui a Wacken tra gli occhi spalancati dei presenti. Alcuni divertiti dal vedere e sentire il cantante Kyo cimentarsi in svariate e innumerevoli qualità canore, altri schifati e altri ancora innamorati e in estasi. Che immenso potere! Sicuramente una delle più eclatanti apparizioni tra le band in questo festival, nel bene o nel male. Per arrivare subito a parlarvi del brano dal titolo più lungo del giappone ho saltato il loro primo singolo tratto dall’ultimo album Dum Spiro Spero del 2011 denominato “Lotus” che trovo essere infinitamente geniale e assolutamente ricco di groove nel suo riff iniziale e spezza fiato nel ritornello melodico. Dopodiché “Red Soil” brano dal titolo inglese finalmente, tratto da Uroboros un loro magnifico album, forse quello della consacrazione mondiale. Proseguendo nell’ascolto troviamo “Obscure” brano ormai mitico per l’immensa ferocia con la quale è stato composto e che lo vede ben rappresentato in un videoclip che lo accompagna che fece davvero scalpore ai tempi dell’uscita. Date un’occhiata su YouTube per capire ciò che sto dicendo e ricredetevi su tutto ciò che di violento e malvagio voi possiate aver visto o immaginate di essere arrivati al culmine. Tornando all’ultimo album e saltellando di successo in successo eccoci a “Different Sense” e “Dozing Green” da Uroboros; 2 brani devastanti e inconcepibili da qualunque mente umana sana. Pian piano i brani passano, la gente è sempre più schifata, innamorata o incuriosita e tutto finisce con “Agitated Screams Of Maggots” e già il titolo la dice lunga e con l’ultima “Rasetsukoku” i una versione ancora mai vista ne sentita. Insomma, i Dir en grey hanno proprio messo su questo show in modo da colpire tutti i presenti. Chi se li è persi ha sbagliato clamorosamente, chi li ha visti capisce perché. Fuori da ogni riga e per questo geniali.

AS I LAY DYING


Eccoci ad un altro dei miei momenti preferiti di tutto il festival, un momento che aspettavo da tempo e che ho sempre e soltanto potuto vedere tramite YouTube. Gli As I Lay Dying a Wacken. Si salvi chi può. La cosa che mi diverte molto è che tanti che non li conoscono ancora non hanno la minima idea di ciò che li aspetta da qui a pochi minuti. Iniziamo? “Within Destruction” e il titolo parla chiaro: sarà la distruzione! Walls of Death iniziamo a crearsi come nulla fosse, Circle-Pits ovunque, pogo e godimento generale. I 5 di San Diego stanno già inondando questi campi di onde sonore violente e brutali a discapito di bands come Mayhem o Morbid Angel che hanno solo fatto brutte figure per la loro ridicola voglia di mostrarsi obbligatoriamente malvagi facendo invece soltanto esimie figure. Tra un brano e l’altro eccoci a “Through Struggle” e “An Ocean Between Us” risalenti entrambi ad album recenti ma già dei classici per gli amanti della band. Per l’ultimo album invece arriva puntuale “Anodyne Sea” , “Condamned” e “Parallels” con 2 di queste, la prima e l’ultima, protagoniste anche degli ultimi videoclip rilasciati dagli AILD. Tutto sembra correre via fin troppo velocemente, il collo brucia nei movimenti dell’headbang e lo spirito distruttivo resta vivo in molti e si accende in altri. L’estrema capacità di tirare in mezzo tutti è insita nella figura di Tim Lambesis, cantante frontman molto giovane ma dal carisma già temprato. I suoi scream ma soprattutto i suoi infernali growl ben si alternano e talvolta dominano alla base i ritornelli melodici classici del genere e caratteristici delle loro canzoni. Dopo una breve parentesi strumentale mandata nell’impianto (il brano “Separation”) dove la band si prende qualche secondo di riposo ecco esplodere “Nothing Left” e la vecchia “Forever”. Si perché stranamente o no, la parte finale della setlist è di stampo più vissuto e risalente ai primissimi lavori in studio dei califoniani. “Confined” e addirittura “94 Hours” chiudono i giochi di un live sbalorditivo ed esorbitante. Gli As I Lay Dying sono l’attuale presente e il prossimo futuro del metal mondiale. Lo sono già da qualche anno ma la loro incredibile tenacia li ha consacrati davvero come presenza e capacità tecniche. Il metalcore è la risposta, si dice. Io sono pienamente d’accordo.

AVANTASIA


Ed ecco arrivare finalmente uno dei momenti più attesi di tutto Wacken: Tobias Sammet ed il suo supergroup Avantasia. Definire incredibile questo show significa sminuirlo, tutto l’impegno che Tobias ha riversato su questo progetto è palpabile nell’aria. Sfortunatamente a causa di cancellazioni dei voli nel dicembre 2010 non sono riuscito ad essere presente alla data di Fulda del Metal Opera Comes to Town e quindi questo show volevo proprio gustarmelo in pieno. Come inizia The Scarecrow le prime note di apertura sono di Twisted Mind. Piccola nota negativa è la sola presenza di Amanda Somerville come corista. Ora che il pubblico è bello caldo arriva l’ora dell’epica The Scarecrow. Jorn Lande entra in scena accolto da un boato e sfodera tutta la sua bravura canora. I duetti con Tobias sono qualcosa di unico e la sintonia fra i due è altissima. Proseguendo con Promised Land e si alza un po’ il tiro aumentando la frenesia fino all’arrivo di Bob Catley per cantare The Story Ain’t Over tratta dall’EP Lost in Space. Bob sorride, si muove con disinvoltura e semplicemente si diverte come un bambino sul palco creando un velo di emozioni fortissime su tutto il pubblico. Ritornando su ritmi più alti ecco arrivare Kiske a cantare Reach Out For The Light per proseguire con Dying for an Angel (parte che spetterebbe a Klaus Meine ma che come indicato da Sammet non è potuto esser presente per le migliaia di impegni del tour con gli Scorpion). Il buon Michael e la sua tecnica formidabile comunque non fanno minimamente rimpiangere questa sostituzione. Un suono di carillon apre la scena ad un altro big guest quale Kay Hansen in frak, bastone e cilindro che tra sogghigni e risatine prende parte a Death is Just a Feeling. Il singolo Lost in Space, Farewell e The Wicked Symphony accompagnano all’encore, seguito da una conclusione col botto con Shelter From the Rain, Farewell e la stupenda The Seven Angels. Nulla da dire, Tobias è uno showman nato e un collante di un progetto come gli Avantasia che riesce a riunire grandissimi artisti della scena. La situazione sul palco era di totale collaborazione e armonia, si aveva l’impressione che l’unico obbiettivo fosse quello di divertirsi e coinvolgere le 80 mila persone del pubblico. Obbiettivo centrato in pieno. Alla fine dello show sembra di non averne avuto abbastanza e si vorrebbe che proseguisse per ore. 

Immensi.

MOTORHEAD


“Noi siamo i Motorhead e facciamo Rock n’ Roll!!”. A questo punto generalmente l’orgasmo è già arrivato puntuale come un orologio svizzero. Pronti via “Iron Fist” e “Stay Clean” per far capire a tutti di cosa si tratta! Si tratta di uno dei più grandi pezzi di storia della musica rock. Il grande e mai troppo amato Lemmy regala la sua capacità e la sua grezza sporca voce anche quest’anno al pubblico del più grande show di musica metal del mondo. I classici si sprecano da “Metropolis” e “Over The Top” ma anche pezzi meno blasonati come “The Thousand Names of God” e “I Know How To Die” vedono la luce (o meglio il buio data l’ora) sotto questa pioggia leggera che fa brillare l’atmosfera inconfondibile degli show dei Motorhead. Ormai sono on the road da anni e anni e come spesso si sente dire da Lemmy, si svegliano in una città e ci suonano senza neanche sapere quale essa sia. Forse non è il caso di questo live ma non ci metterei la mano sul fuoco! Fuoco? Ah si, il fuoco si accende puro e ardente sulle note di “In The Name Of Tragedy”, canzone onnipresente in ogni setlist dei Motorhead e sicuramente una delle più riuscite e d’impatto degli ultimi anni della band; con la sua infinita potenza e il suo tiro da urlo è in grado di scatenare i diavoli dell’inferno! Facciamo ora spazio alla vena polemica che da sempre caratterizza l’ispirazione ai testi della band inglese: “Just ‘cos You Got The Power” è una sirena d’allarme per i politici e la loro corruzione o per tutti quelli che abusano del loro potere; il sommo maestro di vita Lemmy ha pensato bene di usare il suo potere mediatico per dire anche cose importanti ai suoi fans in tutto il globo e certi artisti dovrebbero solo prendere questa cosa come esempio. Ma d’altronde si sa, Lemmy è lì beato nell’olimpo e di sicuro non un essere comune. La lunga e prolissa scaletta non accenna a finire o a dare segni di cedimento perché come 13esima canzone figura uno dei brani più Rock n’ Roll mai composti nella storia: “Goin’ To Brazil” anch’essa onnipresente e sempre capace di dare una carica notevole. “Killed By Death” e l’epica “Bomber” prima della classica pausa pre epilogo oppure, come molti ancora credono, un finto epilogo! Anche perché che concerto sarebbe senza i 2 più grandi classici di questa immensa band? All’appello ancora mancano, la gente lo sa e ne avverte l’imminente arrivo nell’aria fredda di questa notte: “Ace Of Spades” si fa spazio nel buio e tra le urla e successivamente “Overkill” a mettere la definitiva parola fine all’ennesimo grande live di una delle band più amate da ogni metahead che si rispetti!

CHILDREN OF BODOM


Noi siamo i Children Of Bodom dalla dannata Finlandia. Ovviamente Alexi l’ha detto in inglese e l’ha detto in maniera assai più colorita come da sempre nel suo stile. Una parola due bestemmie.  Qui il freddo aumenta come portato dai 5 di Espoo che dal 1993 massacrano le orecchie dei metallari con riffs taglienti e corposi screams. Il peggio deve ancora venire! Tutto inizia (e siamo ormai giunti agli sgoccioli di questo festival) con “Not My Funeral” canzone d’apertura anche dell’ultimo album Relentless & Reckless uscito quest’anno. Canzone d’assoluto impatto e di pregiata fattura con assoli e parti tecniche di chitarra che vedono un Alexi in assoluto stato di ottima salute per le sue frenetiche dita allenate. Dopodiché un pezzo che non ti aspetteresti ma che comunque fa godere e non poco: “Bodom Beach Terror” tratto da uno degli album più discussi e forse per questo meglio riusciti. Facendo subito un balzo avanti nel tempo e tornando a R&R eccoci con “Shovel Knockout”, che proprio come annuncia il titolo è una mazzata in piena testa, e “Roundtrip To Hell And Back” canzone insolitamente lenta e pedante scelta dai COB per essere il primo videoclip estratto da quest’album. Talvolta certe scelte stilistiche non vengono capite dai fans, ma è interessante anche variare dal solito pezzone da discoteca. Va assolutamente detto che la band ci farà assaporare una setlist da urlo ma c’è perplessità tra il pubblico nel vederli molto distaccati, troppo concentrati sul loro strumento e la giusta esecuzione dei brani per fare un po’ di show. Certo, Alexi sputa sempre sul palco, si fa le sue passeggiate tra un assolo e l’altro ma si avverte qualcosa di diverso. Anche se non sono mai stati mastri intrattenitori come invece possono definirsi in quanto a tecnica musicale, i Bodom proseguono con uno dei pezzi più amati e di alto godimento: “In Your Face” fantastica dall’inizio alla fine, martellante nei riffs e nella composizione. Purtroppo a questo punto accade un misfatto: una pioggia torrenziale e gelida compare nei cieli e successivamente sulla terra già zuppa di fango in pochi secondi. L’ora è tarda, la resistenza fisica a questo punto del festival è messa davvero a dura prova. Molti scappano come se dal cielo piovessero palle di fuoco ma gli impavidi restano, armati di coraggio e K-Way, per ascoltare l’immensa “Living Dead Beat”. La scelta dei titoli si sa è un fattore predominante della carrira dei Children Of Bodom che da sempre ci regalano perle d’ottima fattura con titoli assolutamente fantastici e scelti per essere d’impatto. La mente malata di Alexi produce questo e altro. Ed ecco cosa produce: “Children of Bodom”, “Hate Me!”, “Bloddrunk”, “Angels Dont Kill”, “Follow The Reaper” e “Downfall” in rapida successione, senza darti l’occasione di spegnere la produzione di adrenalina. Classici ormai intramontabili facenti parte ormai del grande almanacco metallaro, della bibbia del metallo o del manuale base del headbanger che si rispetti. Finisce tutto dopo una breve pausa, tra gli applausi e i ringraziamenti di Alexi ai temerari che hanno sfidato il gelido maltempo con i piedi a bagno della fanghiglia, con “Are You Dead Yet?” chiaro riferimento al fatto che in questo momento non ci si deve perdere d’animo e bisogna dire che non si è ancora del tutto morti e la finale in dedica ai fans di tutto il mondo e dei centomila di Wacken: “Hate Crew Deathroll”. Finisce qui anche il loro show, immensi e statuari come sempre, peccano solo di contatto col pubblico ma questo si sa e ad un loro concerto ci si va per tutti i motivi sopracitati.

La sorpresa: HAYSEED DIXIE


Ebbene si, oramai Wacken non significa solo metal musicalmente parlando in quanto dato l’elevato numero di palchi presenti l’organizzazione piazza qua e la gruppi che con il metal centrano ben poco come l’immancabile Mambo Kurt o la banda dei pompieri del paese. È questo il caso degli Hayseed Dixie, gruppo che ho scoperto fra un giro e l’altro al Beer Garden. Trascinato dal suono di un banjo che intonava Shook Me All Night Long abbiam deciso di assistere allo show di questi quattro elementi in puro stile Missisipi Folk. Salopette, Banjo, Violino, Basso acustico e chitarra classica. Solo questo ma una tecnica da far invidia a molti dei gruppi presenti sugli stage maggiori. La setlist comprende le più disparate cover rock e metal 80/90 tra cui Breaking the Law, Bohemian Rhapsody, Aces of Spades, War Pigs e molte altre. Tutto intermezzato da pezzi originali e assoli dei vari componenti da far letteralmente accapponare la pelle. Se avete l’occasione di poterli vedere in tour non esitate un solo secondo, ne uscirete scioccati.

SEE YOU NEXT YEAR, RAIN OR SHINE!!!