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COFFINS – The Fleshland

Quando si disserta di pubblicazioni death maleodoranti, rantolanti, prettamente in slow motion, il nome dei Coffins salta fuori quasi sempre. I giapponesi sono una di quelle realtà che ha sparso i propri influssi nel sottobosco estremo pur non attirando stuoli di fans sterminati. Finora si sono mossi su etichette minori, attraverso un mare di collaborazioni con altre band di similari consuetudini musicali e tre full-lenght diventati oggetto di culto tra gli amanti del death strettamente imparentato col doom. Per la quarta uscita su lunga distanza si sono tirati fuori dalla loro nicchia e si sono accasati presso la Relapse, dando alle stampe “The Fleshland”. Il cambio di label non ha mutato la pellaccia ai Coffins, che ci cullano nella sporcizia e nel degrado anche questa volta. L’accorgimento più vistoso per muovere le acque è il sensibile innalzamento della velocità di crociera, attestatasi in questo caso a livelli decisamente spinti per l’identità sonora solitamente ascrivibile ai Nostri. Un po’ tutte le tracce sono impostate su ritmiche non molto ricercate, abbastanza dritte e tendenzialmente medio-veloci, il batterista ha badato al sodo per le sue parti, mettendo poco di suo nel colorire l’opera. Il perno delle canzoni è costituito dalla saldatura di chitarre lasciate a mollo in una bagna cauda di fanghiglia, secrezioni di cadavere e sudore rancido, a un basso distorto ed imponente, onnipresente nel rendere asfittico e saturo il caterpillar di suoni che ci arriva addosso. Il riffing denso e ridondante riempie ogni spazio, dispensa sadica ferocia azzerando quasi completamente atmosfere sepolcrali e di desolazione a favore di un massacro parossistico. Ci sarebbero altre peculiarità del Coffins-pensiero meritevoli di essere messe in risalto, purtroppo rimangono in disparte e possono essere apprezzate con dosaggi ridotti. Parliamo dei tratti tipicamente doom del combo, rinvenibili in un vero e proprio aggiornamento del suono dei seventies con chitarroni ribassati e spessi, come se i Saint Vitus si dessero improvvisamente al death metal. L’affratellamento con l’ortodossia doom virata nell’hard rock è una caratteristica che emerge lampante in “Tormentopia”, la più catchy del lotto, ma si ritrova in qualche spezzone anche in altre tracce, senza che diventi centrale nel discorso, e questo è un vero peccato. Gli assoli hanno addirittura una punta di blues andato a male decisamente intrigante, ma durano poco e non si ritagliano uno spazio sufficiente all’interno dei singoli pezzi. I Coffins di “The Fleshland” sono squassanti e squartanti, ma scarni, incanalati su un unico binario, incapaci di incidere veramente se non per la forgiatura del suono, insostenibile per pesantezza, lordura, infettività. Ci si aspettava sicuramente qualcosa di più accattivante, anche se tutto sommato non si può parlare di un disco malriuscito, non vi è stata una sterzata stilistica atta a portare i fans di vecchia data a voltare le spalle alla band, però si poteva fare di meglio…

  • 6,5/10

  • COFFINS - The Fleshland

  • Tracklist
    1.Here Comes Perdition
    2.Hellbringer
    3.The Colossal Hole
    4.No Saviour
    5.The Vacant Pale Vessel
    6.Rotten Disciples
    7.Dishuman
    8.The Unhallowed Tide
    9.Tormentopia

  • Lineup
    Koreeda - basso, voce
    Ryo - voce
    Uchino - chitarra, voce
    Satoshi - batteria