C’è poco da fare, i Karma to Burn non sbagliano un colpo dal lontano 1997, quando con l’omonimo album arrivarono a sconvolgere le regole della Roadrunner Records, trascinando tutti nei loro vortici di stoner elevato all’ennesima potenza, solo cascate di musica e forti emozioni. Sul gruppo ha sempre gravato lo spettro di una parte vocale, a volte parzialmente soddisfatto dalle collaborazioni con John Garcia ( Kyuss) e Daniel Davies (Year Long Disaster), ma in questo nuovo “Arch Stanton” a farla da padrone è la creatività esuberante di Mecum, Halkett&Devine che influenzati da band come Kyuss e The Obsessed, non hanno davvero bisogno di parole.
Dopo la reunion nel 2009 e dopo due capolavori come “Appalachian Incantation” (2010) e “V” (2011), i K2B sono tornati con un album tutto strumentale, di qualità altissima, al solito le canzoni sono intitolate con dei semplici numeri, questa è la volta dei Cinquanta, in ordine sparso e con un’emblematica Ventitre. Un lungo viaggio emozionale in un mondo fatto di note a volte trascinanti nella loro energia, a volte fresche e veloci, spesso cupe e pesanti. Quasi impossibile descrivere l’album in una recensione traccia per traccia, si possono però sottolineare alcuni picchi altissimi del lavoro, come la metallica “Fifty Six” e l’ondeggiare impetuoso di “Fifty Three”; il momento più intenso è forse in “Fifty four” con una linea melodica ipnotica, un vero e proprio viaggio attraverso la mente.
“Fifty Five” e “Fifty Eight” sono intervallate dal respiro di “Twenty Three”, episodio più semplice e spensierato, che spiana la strada a “Fifty Nine“, con inserti di dialoghi del film di Morricone “Il Buono, il Brutto e il Cattivo“, da cui i K2B dicono di aver tratto ispirazione per tutto l’album. Lo spirito dell’album richiama gli anni Settanta, ma spesso e volentieri emergono le contaminazioni più dure dell’alternative metal moderno, in un connubio pressoché perfetto.
Quando si ascolta un gruppo come i Karma to Burn, agli antipodi delle proposte commerciali odierne, che riesce comunque a tenersi stretto un nucleo fedele di fans, i risultati sono solo due: o un lavoro di tecnicismi fini a se stessi, che può piacere solo agli addetti ai lavori, oppure un album che incanta e conquista senza riserve. Siamo ovviamente nel secondo caso e ancora una volta questo gruppo unico si presenta all’appello con una delle uscite stoner più interessanti dell’anno; consigliato a chi ama mettersi una cuffia ed isolarsi dal mondo, a chi ha amato alla follia i Kyuss e a chi è già ferrato nel genere.