A distanza di ben vent’anni dal lontano ’94 dell’ultimo album studio, dal titolo “The Division Bell“, il Rock britannico torna ad essere firmato Pink Floyd, con una nuova produzione totalmente dedicata all’amico ed ex componente del gruppo, Richard Wright, scomparso nel 2008: “The Endless River“.
Formalità escluse, è possibile ancora oggi parlare in termini concreti di Pink Floyd? Questo l’oggetto della disputa da cui il nuovo album della band decennale non riuscirà a sottrarsi.
Se da un lato la produzione si compone di una serie di inediti realizzati tempo addietro, nel ’93, durante la recording session di “The Division Bell” ed inizialmente concepito come un album a sè, dal titolo “The Big Spliff“, dall’altro è l’esito di un percorso di allontanamento dallo stile tipico del gruppo, iniziato già con “A Momentary Lapse Of Reason“.
Impossibile e non necessario un track by track di “The Endless River“, poichè come da titolo, scorre da capo a fondo con un’impostazione a traccia unica, richiamando la struttura di un LP.
L’aspetto quasi interamente strumentale conferisce alla produzione una caratteristica difficoltà di ascolto, accentuata dal mancato sviluppo delle idee presentate da ogni traccia: in parole semplici, ognuno dei brani appare essere a sè stante, dotato di vita propria, e successivamente incluso in una successione, di notevole forzatura, che non gli consente di giungere ad una sua conclusione.
Combinazione di atmosfere elettroniche e riff chitarristici tipici: l’intento chiaro di dimostrare come la musica possa spiccare anche sulla parola, come, paradossalmente, cita la traccia vocale conclusiva della produzione “Louder Than Words“.
In definitiva, niente di nuovo da questo ritorno degli amatissimi Pink Floyd, che con soltanto una rielaborazione e rivisitazione di elementi già noti, sicuramente potrebbero far storcere il naso a qualche fan.
