Ho sempre creduto che ogni artista nasca con una vocazione ‘settoriale’ naturale che va approfondita nell’arco della carriera. Certi talenti sviluppano amore incondizionato per un certo stile e provano ad evolverlo secondo il proprio istinto e la propria vena visionaria, arrivando ad esplorare universi che solo in pochi a malapena concepiscono…
I Solefald sono sempre stati un esempio di evoluzione e di ‘instabilità’ musicale, capaci di anticipare certe divagazioni sonore senza venir meno al proprio, caro, metal…di tempo ne è passato da quando quel mitologico “The Linear Scaffold” uscì, a metà anni 90, ma questo sembra non aver scalfito minimamente la verve magica di Lars e Cornelius. A pochi mesi dall’EP “Kosmopolis Nord”, che aveva confermato la buona salute del duo norvegese, “Kosmopolis Sud” rappresenta un nuovo punto di partenza verso lidi ancora più oltranzisti. L’intelligenza soprafina nel songwriting emerge dall’ audacia nel combinare strutture che spaziano dal metal alla techno, dal folk scandinavo al rock corale fino ad arrivare alle improvvise parti bandistiche che danno ancora più marzialità al contesto.
La produzione è fine ed affilatissima, dove ogni minimo dettaglio esplode alla perfezione…i suoni sono limpidi e puliti meticolosamente mentre le performance ci pongono di fronte all’enorme caratura di questi due artisti. Il mixing bilanciatissimo da all’intero disco un’atmosfera di grande raccoglimento mentre il mastering riesce a far affiorare la varietà stilistico/sonora di ogni singola nota, dando una botta davvero invidiabile.
“World Music With Black Edges” e “The Germanic Entity” valgono da sole i maledetti 15 €, grazie alla sempre sorprendente audacia alla quale i Solefald ci introducono…le più ‘easy’ “Bububu Bad Beuys” e “Le Soleil” si pongono in netta contrapposizione con le strutture più complesse di “2011, Or A Knight Of The Fail” e “String The Bow Of Sorrow”, mentre con “Future Universal Histories” assistiamo ad un vero e proprio merge di stili sapientemente appresi. Chiudono le note malinconiche di “Oslo Melancholy”, momento maggiormente ambient che dona una pausa meritatissima alle orecchie debilitate.
I Solefald ritornano con otto canzoni ricche di carattere e prospettiva, sapendo di essere un act difficilmente assimilabile (e da pochi). Per chi cerca un disco da studiare e da assaporare senza pregiudizio, per chi vuole spasmodicamente qualcosa di nuovo e per chi ama genio e follia. Inimitabili.