Quante volte crediamo che dalle terre del nord possano arrivare a noi solo perle heavy metal, fatte di grandi canzoni, immensi interpreti e band devastanti? Quasi sempre, ma le eccezioni sono sempre più parte di questo mondo.
E Veonity è sinonimo di eccezione appunto. Quartetto svedese, prodotti da Ronny Milianowicz – membro delle purtroppo scomparse grandi band della scena scandinava power metal, Saint Deamon e Dyonisus – e Jens Bogren (già dietro in consolle per i lavori di Dragonforce, Angra, Arch Enemy, solo per citare gli ultimi tre) ma ahimè non all’altezza dei nomi che portano in dote; un album privo di idee, arrivato direttamente dal 1999, tra clichè di stampo tedesco-scandinavo (come non ” apprezzare” il tono alla Hansi Kursch, o anche al bravissimo Chity, vecchio singer dei Firewind?) e arrangiamenti degni più di un demo di primo livello che di un full lenght distribuito worldwide.
Clichè che appunto si rincorrono tra le venature gammarayane di Unity, epiche ripartenze degne di Joacim Hans e soci in “Let Me Die” e le classiche idee uscite dal cilindro di Timo Tolkki nella title-track di questo album; pescare a mani basse nella borsa di Mary Poppins per saccheggiare riff, linee e intermezzi dal meglio del power metal degli ultimi 20 anni, non può funzionare.
Detto questo, se avete ancora voglia di gridare forte la vostra voglia di libertà, sognare scenari epici e combattere contro antiche stirpi dannate dal destino, tenetevi i Sabaton con le loro grandi produzioni o passate alla voglia sincera e genuina dei Bardi.