In un periodo in cui un genere o una moda spopolano, è difficile capire quali artisti siano degni di seguito e quali no…per chi ha aiutato a fondare le basi, per chi ha svolto la funzione di pioniere di un genere, non sempre riesce facile di stare al passo coi tempi, rischiando di finire nel dimenticatoio perché cassatto come ‘vintage’ o privo di idee innovative.
Brant Bjork ci prova almeno…l’ex Kyuss sceglie la difficile strada di uscire con un disco a suo nome per far capire al mondo che esiste e che può essere interessante. La proposta di questo quartetto è un desert rock che abbraccia il mondo stoner a piene mani, catapultandosi saltuariamente in un blues psichedelico che riporta le lancette indietro di molti anni. La riuscita di queste dieci tracce non sempre abbraccia le migliori aspettative, finendo in alcuni casi per apparire già sentita o ‘presa in prestito’ dal pesante passato dell’artista americano.
La produzione è calda e sudata, evocante i paesaggi assolati delle zone desertiche degli States…i suoni grondano di spessore e pesantezza, dove solo i solos riescono a far prendere una boccata d’aria all’ascoltatore. Le performance sono bilanciate e metodiche, ben studiate e degne dell’esperienza che un personaggio come Brant Bjork possiede, mentre mixing e mastering pongono l’accento sulla compattezza del tiro.
Non mi dilungherò nel song by song…cito soltanto “Hustler’s Blues” e “Soldier Of Love” per la grande caratura ritmica bluesy che le chitarre sanno creare, mentre “Controllers Destroyed” e “Stokely Up Now” faranno la felicità degli appassionati della miscela stoner/rock…acidità e suggestioni fumose escono dalla conclusiva “Where You From, Man” e da “Boogie Woogie On Your Brain” mentre la restante parte del platter rimane su canoni sufficienti.
Ho tenuto volutamente chiuso nel cassetto questo disco per molti mesi…ma ad un attento riascolto mi riesce difficile non considerare questo “Black Power Flower” come un disco poco coraggioso e mirato a ‘crearsi amici’…ci vuole di più.