Seguendo certi ragionamenti scaramantici, la regola ‘squadra vincente non si cambia’ dovrebbe essere alla base di ogni attività…specie in una ‘società musicale’ che perpetua il proprio percorso di clonazione e stravaganza, le alchimie appaiono cariche di fascino e genialità, finendo in più di un’occasione nel più assoluto anonimato.
Per diverse situazioni che si sono venute a creare, Chris Barnes ha dovuto realizzare il nuovo album dei suoi Six Feet Under con una formazione totalmente nuova. Il risultato va oltre le più rosee aspettative, fornendoci dieci tracce cariche di odio e rancore senza alcun ritegno. La formula non si discosta di una virgola da quanto propinato in vent’anni di carriera, ovvero un crudele mix di death/grind e groove metal che non lascia fiatare l’ascoltatore, il tutto confezionato e meticolosamente condito di lyrics estreme a cui il buon Chris non sa rinunciare.
La produzione permette di fruire di un disco fresco e bilanciato, grazie alla cura nel mastering che compone un muro sonoro invidiabile…i suoni triggerati e secchi della batteria si uniscono alla spietatezza delle chitarre per sorreggere il rauco e crudo growl di mr. Barnes, unendo una produzione fredda e sintetica a performance precise e micidiali oltre ogni previsione.
Benché tutto il disco sia un martello ritmico inarrestabile, è possibile trovare i momenti più estremi nella opener “Gruesome” e nella conclusiva “Eternal Darkness”, grazie anche ai grind beats, mentre il persistente groove/death esce dal singolone “Open Coffin Orgy”, “Break The Cross In Half” e “Lost Remains”. “Stab” devasta senza esclusione di colpi, mentre con “Broken Bottle Rape” e “The Night Bleeds” assistiamo agli episodi più strutturati del platter.
“Crypt Of The Devil” può tranquillamente candidarsi come uno dei dischi meglio riusciti della band americana. Violenza musicale senza tanti fronzoli o ricamature…del resto da uno dei pionieri di un genere che ha superato le venticinque primavere ci si può aspettare solo questo. Macchine viventi.