Una serata di pioggia ghiacciata, con un vento freddo e tagliente che s’insinua in ogni pertugio. Poi, la calma di una notte con la neve che scende a coprire ogni cosa, ammantando di bianco tutto ciò che un attimo prima si agitava furioso. Infine, un lento risveglio nelle luci di un’alba gelida, con un cielo cupo e maestoso, che promette un temporale. Se volessimo, potremmo immaginare così questi tre dischi che vanno a comporre la monumentale nuova fatica dei finlandesi Swallow the Sun: “Songs From The North I, II & III” si divide in tre capitoli molto diversi tra loro, ma legati l’uno all’altro dal filo della natura stessa del gruppo. Ci sono i richiami nostalgici al disco d’esordio “The Morning Never Came” (2003), ma anche la continuità con “Emerald Forest and the Blackbird (2012)“; ci sono gli strascichi di un tour infinito e spossante e la gioia di prepararsi a tornare sul palco.
Circa tre ore di musica e tanta atmosfera per un risultato che andrà a rendere perfetta l’annata dei fans di Paradise Lost e My Dying Bride. Il primo CD si apre con la suggestiva “With You Came the Whole of the World’s Tears“, il cui titolo rende bene l’idea del carattere dell’intero album.
Gli Swallow the Sun fanno una mossa coraggiosa, controcorrente (supportati lodevolmente dalla nuova casa discografica Century Media), presentando un album che spezza le catene imposte da radio e mercato musicale: non si può ascoltare velocemente, non si può giudicare con leggerezza, ha bisogno di tempo e concentrazione. E sono proprio questi due elementi che mancano al giorno d’oggi, una mancanza che impedisce di soffermarsi a pensare, a gustare ogni singola nota. Il gruppo ha curato ogni particolare, preparando un percorso guidato all’interno del proprio mondo: il primo disco è più vicino al sound tradizionale della band, con un doom metal cadenzato e funereo, che spesso però si apre alla melodia e a sprazzi di luce. Si approda al secondo CD con una leggerezza inaspettata, un respiro dolce fatto di pezzi acustici, un intervallo ma non un riempitivo: intenso ma ingombrante nella sua durata, tanto da rischiare di spezzare troppo il ritmo dell’intero lavoro.
Il terzo CD è forse la vera sorpresa: duro, cupo, cinico e potente, cinque pezzi (tutti ben oltre gli otto minuti di durata) che innalzano notevolmente il livello dell’intero lavoro e risvegliano dal vago torpore dell’ora trascorsa tra chitarre e pianoforte. La pesantezza titanica di “The Gathering of Black Moths” precipita l’ascoltatore in un pozzo nero e freddo, permettendogli di scoprire uno strato più profondo nella personalità del gruppo.
Il sestetto finnico ha piazzato un’uscita davvero importante nella loro discografia, un lavoro tanto impegnativo quanto carico di aspettative, perchè il quantitativo di energie che deve aver richiesto ci appare notevolissimo. Forse uno degli intenti del gruppo è anche quello di metterci in difficoltà, per non lasciarsi racchiudere in una recensione. Questo lavoro va oltre, richiede il vostro ascolto e la vostra attenzione, ha dentro moltissime sfumature, angoli bui, finestre spalancate, è una creatura viva.