L’essere dei cazzari è una componente che accomuna più o meno tutte le bands; sia che lo si faccia per immagine o sia che lo si è nell’intimità della sala prove, la verve simpatica e combinaguai delle truppe metalliche è un dono che rende più ‘umani’ anche quegli acts che sprigionano violenza da ogni singolo poro, palesando un senso di umanità che avvolge I fan con un manto affettivo.
E poi ci sono gli Zamboni, dei quali non so in che modo proporveli…musicalmente sono duo che si muove a cavallo tra thrash, punk e hardcore con una certa maestria, riuscendo a realizzare strutture accattivanti e musicalmente accessibili nonostante la banalità dei cantati inseriti; quello che la band newyorkese si propone di inserire è la vena ridaciana forgiata su attimi di follia dove avvengono dialoghi di dubbio gusto che se da un lato stemperano le strutture pressanti, dall’altro annoiano e frammentano un ascolto già non facile.
La produzione è molto casalinga e ottantiana, legata agli stilemi del thrash e una certa limitatezza di mezzi, mentre le performance e i suoni mettono in auge una band dalla discreta esperienza e che sa come non prendersi sul serio…mixing e mastering riescono a porre in avanti il sound della band, mettendo un po’ di pepe nelle strutture veloci ma altrettanti sottili.
Non mi dilungo sul song by song in quanto, a livello metal, le strutture sono discretamente rassomiglianti; humor e tiro potrete averli in “Zamboni”, “The Meaning Of Life” e “Killer Croc” mentre il meglio della verve del duo lo riscontrerete in “Nuclear Hatred” e “The Greater Evil”, lasciando a “Norman Bates” e “Stick Em” l’ingrato ruolo di prolissi riempitivi.
Sinceramente consiglierei a Robert Orr e Chris Butera di perseverare nell’excursus musicale ma di approntare lo stile cazzaro in modo differente (e meno irriverente). Con una produzione migliore avrebbe suonato meglio, indubbiamente.