L’evoluzione costante dei Darkthrone è arrivata al diciassettesimo gradino e anche senza dare troppa importanza alla numerologia, questo “Arctic Thunder” è un punto cardine della carriera del duo, come già annunciato ampiamente da Fenriz nella sua nuova veste social.
Per quanto il matrimonio con la Peaceville sia tornato armonioso e fecondo, non sono più i tempi di “Under a Funeral Moon” e il genere proposto è ancora in bilico tra l’heavy speed marcio e cattivo di scuola Kilmister ed un black metal oscuro e profondo, complice anche la voce di Ted su tutti i brani, scelta precisa per un sound più epico (e meno Bathory-oriented, aggiungiamo noi).
L’andamento dell’album è maestoso, l’ispirazione c’è ed è concentrata a ritrovare le proprie radici con un suono ruvido e grezzo che mescola bene le diverse anime del duo: “Tundra Leech” è un’opener crudele e diretta, mentre “Boreal Fiends” è la perla nera di questo scrigno, con una melodia ipnotica e malvagia, che piacerebbe molto ad un certo Kim Bendix Petersen.
Un pezzo come “Throw Me Through The Marshes” è black puro e semplice, maligno e possente, mentre il riff killer di “Deep Lake Trespass” riporta al suono primitivo e rude tanto anticipato da Fenriz. Ottima prova di Nocturno Culto alla voce, che incide in maniera grezza e viscerale con una prestazione che aggiunge un notevole grado di ruvidezza all’intero lavoro.
Un album che prende il suo nome dalla band norvegese capitanata da Thomas Brandt, non può non avere uno sguardo rivolto al passato, così come indica la copertina, vecchia foto di un campeggio di Fenriz. Ci sono due volti in questo lavoro, così come due sono i pilastri del nome Darkthrone, ma l’impressione unica è quella di un ottimo album, solido e strutturato, che sa bene da dove viene ma sa ancora meglio in quale direzione andare.