Giungono al traguardo del secondo album gli svedesi Enbound, gruppo dedito a un power metal godibile e orecchiabile anche se non certamente originale, il cui primo e ultimo disco fino a oggi, “And She Says Gold”, risaliva a ben cinque anni fa.
Rispetto al debutto, aldilà del tempo trascorso, sostanzialmente i nostri non spostano il tiro di un millimetro. Per chi li avesse già incontrati, non è lecito aspettarsi dagli Enbound qualcosa di diverso dalle tipiche sonorità power metal scandinave, con una voce dal timbro abbastanza acuto ma pulito, una produzione senza sbavature e notevolmente levigata, e canzoni mai esageratamente veloci e dalla struttura fondamentalmente semplice. Certamente però, nonostante non si possa parlare di innovazione riferendosi ai 40 minuti di questo “The Blackened Heart“, i brani scorrono piacevolmente, anche grazie alla buona prestazione vocale di Lee Hunter, alle capacità tecniche del quartetto e a delle melodie facilmente memorizzabili e ben costruite.
Se la prima metà del disco risponde esattamente a questi canoni, è invece più interessante ciò che succede in seguito nel platter. Innanzitutto l’assolo di basso su “Feel My Flame” eseguito da Mike LePond dei Symphony X, che spezza il ritmo della canzone e arriva sostanzialmente inaspettato, seguito da “Twelve“, brano che potremmo accostare agli ultimi Circus Maximus, ammesso che il paragone possa rendere appieno l’idea.
Se siete amanti di gruppi quali Stratovarius, Thunderstone e Masterplan, questo disco potrebbe fare al caso vostro.