Le reunion, viste dal lato umano, insegnano molto…i rapporti possono essere ricuciti, gli orgogli stemperati, la serenità ritrovata e una certa passione artistica riesce a scoprire nuove forme di espressione; il fan non è così sprovveduto e sa riconoscere quali di questi ‘come back’ sono autentici e quali invece puzzano di marcio e quattrini.
Sette anni fa non avrei mai pensato che due ‘caratterini’ come André Andersen e DC Cooper potessero suonare assieme nuovamente, viste le circostanze che hanno visto l’allontanamento di quest’ultimo dai Royal Hunt…eppure, a discapito della miscredenza, eccoli festeggiare il venticinquesimo anniversario della band con un live e dopo aver prodotto tre album davvero avvincenti. “2016” continua la saga iniziata vent’anni fa con il monolitico “1996”, dove la band celebrava il tour dell’incredibile “Moving Target”, e proseguito con “2006” dove al microfono vi era un uscente John West, e il messaggio appare chiaro: giusto celebrare il passato ma occorre tenere un occhio di riguardo al futuro.
Con una band ormai più che collaudata, il duo riesce a imbastire uno show (per la cronaca registrato a Mosca) onesto e diretto, dove la maestria dei cinque non viene mai messa in discussione…ad essere infimamente pignoli, manca un po’ di tiro alle songs (dovuto probabilmente ad un ancora acerbo Andreas Johansson dietro ai tamburi) ma il tutto viene compensato dalla coppia Larsen/Andersen che tra ritmiche e soli trascina ogni singola struttura, sopra le quali il sempre energico DC tesse vocals dal grande carattere interpretativo.
La scaletta è ovviamente variegata, ma con una discografia tanto immensa non rappresenterebbe un’operazione facile per nessuno…”One Minute Left To Live” “Heart Of A Platter” e “Until The Day” ci fanno assaporare le ventate di un songwriting moderno e fresco mentre “River Of Pain” “Wasted Time” e “Message To God” ci trasportano indietro nel tempo…”Lies” e “Army Of Slaves” permettono di godere il buon DC interpretare parti altrui (John West la prima e Mark Boals la seconda) mentre la palma d’oro viene conquistata dalla evergreen “Stranded”, dalla più diretta “Half Past Loneliness”, dalla pomposa “A Life To Die For” posta in chiusura e dall’inno immortale “Flight” (nonostante un drum solo piuttosto scialbo nel finale).
Per i più pignoli credo che la mancanza di estratti dal superbo “Moving Target” e dai dischi della prima decade del nuovo millennio (specie “The Mission”) sia alquanto imperdonabile…tuttavia non si può sminuire un live così genuino che prova a fare il punto della situazione dopo aver spento venticinque candeline.