Se per una band alle prime armi realizzare un disco rappresenta un’impresa monumentale, per un ‘mito’ deve apparire un lavoro ancora più arduo…da una parte, ovviamente, il possedere maggior esperienza e fondi rappresenta un positivo punto di partenza ma dall’altra le aspettative che si vengono a creare scaturiscono una pressione pulsante che rischia di minare la concentrazione necessaria per dare i natali ad un nuovo capitolo.
I Paradise Lost questo lo sanno bene, dopo tre decadi nel business musicale…con una carriera sempre posta verso l’innovazione e la ricerca di nuove forme di espressione, i cinque doomsters inglesi non si sono mai posti limiti nell’ideare la propria formula musicale. Dopo un paio di dischi ‘coloriti’ come “Host” e “Symbol Of Life” e un drastico ritorno come “The Plague Within”, “Medusa” rappresenta quel compitino che ci si deve aspettare…il cadenzato gothic/doom rimane alla propria basilarità, inciso in lentezza e marzialità, ma quello che sembra mancare è quel valore aggiunto che è la chiave dei maestri.
La professionalità dei Paradise Lost si evince dall’atmosfera opprimente creata in sede di produzione, capace di imprigionare l’ascoltatore con corde invisibili; i suoni sono gravi e rudi, assemblati minimalmente per innalzare il tiro delle strutture, mentre le performance vedono un quintetto ormai al culmine della coesione e dell’espressività. Nick Holmes varia i propri vocalizzi in base all’emozionalità dei testi, passando con gradevolezza dal growl al clean e risultando il componente più in forma.
“Medusa” non è tutto rose e fiori per i padiglioni auricolari…canzoni come “Fearless Sky” o la stessa titletrack si compongono di variazioni intense che non riescono ad arrivare al ‘cuore’, mentre in altri momenti quali “God Of Ancient” o “Until The Grave” sembra che i Paradise Lost abbiano perso un po’ di smalto. A recuperare terreno ci pensano l’ossessiva “From The Gallows” e la catalizzante “No Passage For The Dead”, mentre il top viene raggiunto con l’esoterica “The Longest Winter” e il macigno “Blood And Chaos”, dove la band riesce a mantenere viva l’attenzione.
Dopo tanti anni credo risulti difficile trovare la giusta formula per far contenti tutti e credo che le pretese di questo platter non fossero tanto altezzose…i Paradise Lost rimangono una band affascinante e professionale ma non sempre tutte le ciambelle escono con il buco perfettamente tondo.