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ORPHANED LAND – Unsung Prophets & Dead Messiahs

Recensire uno dei propri gruppi preferiti è sempre un compito difficile, perché si deve cercare di non essere troppo di parte; allo stesso tempo però è bello poter scrivere su qualcosa che si conosce molto bene e perché no, poter trasmettere la propria passione ai lettori.
Per questo nuovo lavoro degli Orphaned Land, mi piacerebbe dunque partire dal titolo, “Unsung Prophets & Dead Messiahs”, il quale lascia intuire perfettamente che l’intero album è un’ode a tutti quei “profeti” di tempi antichi e moderni che non sono stati celebrati degnamente o che sono morti, molto spesso assassinati.
Il filo conduttore è la famosa allegoria della caverna di Platone, dove essenzialmente si vuol evidenziare quanto l’uomo preferisca rimanere in una posizione di schiavitù che comunque conosce, piuttosto che affrontare qualcosa di sconosciuto e seguire un leader rivoluzionario che vuole aprirci gli occhi. L’album è pieno di citazioni di grandi uomini che hanno cercato più volte di “risvegliare” l’umanità, per lo più senza successo.

Concentriamoci adesso sulla parte musicale, perché si sa che gli Orphaned Land sono sempre stati un connubio perfetto tra metal e melodie orientali ed il loro stile si evolve di album in album ed è proprio per questo che su ciascuna loro release c’è sempre molto da dire. “The Cave” apre propriamente le danze con una carica di freschezza di sound incredibile, dove troviamo il nostro Kobi Farhi con voce armoniosa tra strumentazioni e cori, ed una ritmica incalzante.
Un pezzo che ci fa subito capire che direzione prenderà l’album? No, perché “We Do Not Resist” ricambia le carte in tavola, aprendo con una citazione di Amal Donkol, poeta egiziano impegnato anche lui politicamente tramite i suoi versi; il pezzo inizia dirompente con un cantato growl energico e si preannuncia “la canzone dove si scapoccia” durante il prossimo concerto e non per niente scelta come secondo singolo.
I toni si ricalmano su “In Propaganda”, una traccia che muta in continuazione, dove dai testi prosegue il racconto del mito della caverna ed il tappeto musicale ci proietta col pensiero in Oriente e dove “All Knowing Eye” arriva senza nemmeno un secondo di pausa, trasportata dalla chitarra acustica su toni ancora più calmi. Questo sali e scendi a livello di ritmiche e d’intensità dei brani permette di avere un album molto vario ma soprattutto apprezzabile da tutti. Come sempre poi, arriva puntuale la cover di un brano folkloristico della cultura mediorientale e questa volta è stato scelto “Yedidi”, di origine sefardita.
Tantissimi elementi dentro questo UPADM e non abbiamo ancora parlato dei guest! Ebbene, è arrivato il momento di farlo, perchè ci sono dei nomi di lustro, divisi secondo le seguenti corrispondenze: Steve Hackett (“Chains Fall To Gravity”) – Hansi Kürsch (“Like Orpheus”) – Tomas Lindberg (“Only The Dead Have Seen The End Of War”).
Il primo lo ascoltiamo subito in un magnifico solo di chitarra, dove traspare lo stile tipico dei Genesis, che avvolge l’ascoltatore in un groove intenso. Nel frattempo, possiamo notare che su quest’album i cori prendono uno spazio maggiore rispetto al passato, così come in parallelo aumentano le strumentazioni; li ritroviamo anche con “Poets Of Prophetic Messianism”, un intermezzo musicale messo al punto giusto, come per dare un breve respiro prima di riprendere.

“Left Behind” è un pezzo magnifico dall’andatura più veloce, che viene completato da riff di chitarra intensi, per poi passare alla parte conclusiva dell’album, che con “My Brother’s Keeper” aumenta ancor di più, al contrario di chi normalmente ama smorzare verso la fine. “Take My Hand” inizia con una melodia che ci porta sul tappeto magico e prosegue con un intreccio ben strutturato, dove la batteria di Matan segna davvero la differenza. Troviamo in “Only The Dead Have Seen The End Of War” la partecipazione di Tomas Lindberg, leader degli At The Gates. Con il suo timbro particolare, Tomas fa scorrere l’heavy fulvido nelle nostre vene.
Arriviamo infine all’ultimo brano, che vuole essere una conclusione soft di quello che è un lavoro coi fiocchi e che piacerà molto a tutti i fan, specialmente dal vivo, nel tour che partirà alla fine di febbraio. Le ultime note di “The Manifest – Epilogue” ci lasciano con le parole di Victor Jara: “Canto que ha sido valiente siempre será canción nueva”.

  • 9/10

  • ORPHANED LAND - Unsung Prophets & Dead Messiahs

  • Tracklist

    01. The Cave

    02. We Do Not Resist

    03. In Propaganda

    04. All Knowing Eye

    05. Yedidi

    06. Chains Fall To Gravity

    07. Like Orpheus

    08. Poets Of Prophetic Messianism

    09. Left Behind

    10. My Brother’s Keeper

    11. Take My Hand

    12. Only The Dead Have Seen The End Of War

    13. The Manifest - Epilogue


  • Lineup

    Kobi Farhi - Vocals

    Chen Balbus - Guitars

    Idan Amsalem - Guitars

    Uri Zelha - Bass

    Matan Shmuely - Drums