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MINISTRY – AmeriKKKant

AmeriKKKant apre con una “I know words” abbastanza interessante, su uno stile cupo dai toni ambient, introducendo un disco che si struttura su una buona parte di discorsi campionati e armonizzati dell’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, su sonorità tra la Dark ambient, l’industrial e lateralmente il Nu-metal.
Lo stile appare più defilato e meno impattante rispetto a molte opere precedenti.

L’album è impostato come un concept-album, e, come precedentemente fatto ad esempio per il malcapitato Bush Jr., non è difficile immaginare chi sia il target specifico a cui il disco è dedicato: l’artwork stesso riporta una sconfortata statua della libertà mentre, coprendosi il volto con un ben definito facepalm, rifiuta di guardare la distruzione alle spalle e regge la tavola della data della dichiarazione di indipendenza Americana crivellata di colpi d’arma da fuoco. Il titolo riporta tre volte la K, provocatoriamente, per lasciar immaginare una qualche colleganza al Ku Klux Klan. Le tracce audio, di stampo tra la dark ambient e l’industrial, riportano tematiche sociali e politiche, senza mancare di momenti introspettivi e particolarmente pessimisti sulla condizione attuale, riportando anche titoli abbastanza espliciti come “Wargasm”, “Antifa” e “Victims of a clown”. Inaspettatamente, tuttavia, non appare solo una critica direttamente rivolta a Trump, quanto piuttosto alle condizioni generali in cui versano gli USA, sia nei termini di ideologia che nei termini di più generica società: capitalismo, elitarismo (sia di razza che di ceto), possesso di armi e tutto ciò che ne consegue.
Bene ma non benissimo, belle le sonorità – anche se più “metafisiche” – ma nel complesso rischia di perdersi via l’attenzione dell’ascoltatore a circa metà album.

L’album, con la traccia Twilight Zone si apre ad una sonorità più “sporca” e industrial, dove alle registrazioni vocali di Trump si affianca un cantato elettrico quasi secondario – ma decisamente incazzato – di Burton Bell e una armonica dai tratti vagamente (volutamente?) Southern, proposta da Al Jourgensen, quasi a ricordare di quali ideologie l’America si sia fregiata. A partire da “Victims of a Clown”, invece, il ritmo prende più piede e il cantato diventa più importante, senza mai tuttavia prendere la “cavalcata” quasi hardcore/thrash di molti album precedenti, primo fra tutti “The last sucker” (2007). In “TV 5/4 CHAN”, che appare più come un sorbetto a metà pasto, appare provocatoriamente una traccia (appena 49 secondi!) dove le percussioni ricordano chiaramente degli spari accompagnati da un emblematico “This is Klan territory, so I’m gonna think that kinda says it all” e “White man is a white man, is a white man…”, ma che, proprio come un piacevole sorbetto, preannuncia un secondo round impegnativo con “We’re tired of it”, “Wargasm”, “Antifa”, non senza un lieve sentore di noia che alla lunga comincia ad emergere.

Verso la fine, con “Game Over” e “Amerikkkant”, il tono del disco va in discendendo, ripercorrendo il declino americano con le tastiere di Michael Rozon (nella prima) e Jourgensen (nella seconda), ricordando in chiusura “How is this supposed to make America great?”.
Nel complesso si potrebbe dire che il concetto è chiaramente interessante, ma proprio perché non è un tema “nuovo” ci si aspettava qualcosa in più per sollevare le sorti del disco: è un disco che trasuda disillusione e delusione più che rabbia, e certamente è un’emozione con cui l’ascoltatore fatica più ad entrare in contatto e a creare quel famoso ponte di sintonia con l’album stesso. Insomma, niente farfalle nella pancia per questa volta.

  • 7/10

  • MINISTRY - AmeriKKKant

  • Tracklist
    01. I Know words
    02. Twilight Zone
    03. Victims of a clown
    04. TV 5/4 CHAN
    05. We’re tired of it
    06. Wargasm
    07. Antifa
    08. Game over
    09. AmeriKKKant

  • Lineup

    Al Jourgensen – vocals, guitars, programming, keyboards 
    John Bechdel – Keyboards
    Sin Quirin – guitars
    Cesar Soto – guitars
    Tony Campos – bass
    Derek Abrams – drums
    DJ Swamp – turntables

    Con la partecipazione di
    Burton c. Bell – vocals
    Arabian Prince – vocals