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ANATHEMA – We’re Here Because We’re Here

Ci dicono che va tutto bene. E stavolta è persino vero.

La sabbia, il mare cristallino, le onde che dolcemene sbattono nel lido, il sole che compie la sua rotazione apparente, il tramonto sopra di noi che rende i colori meno pastello. E sopra di noi dei cinerei e docili angeli che volteggiando vengono invocati per seguirci ed assisterci nel nostro lungo percorso di crescita fino a che non potranno sfiorarci e toccarci, e con liquida gioia arriviremo alla pace, tanto tiepida quanto diafana, quando chiuderemo fatalmente gli occhi. Del resto “Noi siamo perchè siamo qui”.

Gli Anathema, che definire con l’aggettivo “di culto” è quantomeno riduttivo, ci hanno tenuto con il fiato sospeso con il “Chinese Democracy” d’ Oltremanica, “We’re Here Because We’re Here”. Nati all’ inizio degli anni 90′, in una scena, quella Albionica, brulicante di nuove idee, che avrebbe portato all’ ideazione (e al raggiungimento dei suoi stessi limiti direbbero i più cinici) del Doom odierno: Con la sintesi del dolore che si fa carne di “Pentecost III” e del crescendo irreale di sommessa melanconia di “The Silent Enigma”, sorella maggiore del precedente, entrano negli annali della musica pesante influenzando stuoli di giovani ensamble, ed è terribile constatare come rimangano tra le band più sottovalutate ed incomprese al giorno d’oggi, schiacciate da un passato ingombrante che ora non gli appartiene più: Già dall’ A. D. 1996 infatti sottolineano, con una precisa linea di continuità la volontà di cambiare, prima lentamente poi in maniera più repentina, le loro cordinate iniziali, fino ad approdare ad un Rock Alternativo ma Atmosferico dotato di un tocco di Avanguardia, che nulla ha della ormai obsoleta fisicità metallica degli ultimi atemporali platter. E dopo posticipi, false news e problemi di varia natura sono pronti a tornare in pista con il tanto atteso, sia dalla critica raffinata sia dai stuoli di fans pendenti dalle loro labbra, nuovo scacciapensieri della formazione di Liverpool. 8 anni sono effettivamente tanti ma esso, patrocinato dal prezzemolino Steven Wilson si istalla su una curva ascendente di un Post- Rock Alternativo pregno di influenze disparate e un forte tasso di psichedelia, un collante perfetto tra Pink Floyd (soprattutto) e Radiohead. É incredibile quanto l’album sia pervarso da una fiumana di placido e solare ottimismo, a cui il combo era sempre stato estraneo. La nebbia sparisce a poco a poco e la fa da padrone, nei 15 frammenti sonori, un onirico positivismo. Per quanto riguarda il frontman egli nè taglia nè ferisce, ma si mette totalmente al servizio dei sensi ristorandoci con le sue celestiali vibrazioni, la sua evasiva dolcezza e il suo patetismo cullante.

L’ inizio è da veri campioni con la siderale Thin Air che già presenta il tocco dei nostri Porcospini preferiti: Ti squote e ti fa vibrare, con la sua inquietudine beatificata e con i suoi suoni dallo spazio aperto, e ci porta sull’orlo della deriva sensoriale. Non fatevi guidare dai pregiudizi per la bella e easy-listening Summer Night Horizon, solo perchè viene contornata da virtuose e sentiti ghiriori di piano con un dinamico intrecciarsi e sovrapporsi della voce di Vincent con una femminile, quasi come dei fratelli siamesi non vuol dire che sia definibile commerciale. Lo slow-motion di Dreaming Light è soffuso come una luce di una candela che avvolge, con il suo chiarore, un letto nella penombra, che ci culla dolcemente nella sua accogliente placenta. Il tutto è irrorato da leggere orchestrazioni d’ovatta. La minimale ma toccante Everything si basa su una struttura apparentemente semplice e lineare, con la sua riduzione ai minimi termini, e può esser vista come una finestra aperta su serafici scampanellii e su radiose coltri. E poi ora dei divini frammenti di fiaba di Angels Walk Among Us, che è una dimensione costellata da magici unicorni nella quale è impossibile trattenere le lacrime senza farsi coinvolgere da sentimenti. Sono sicura che queste melodie, tanto basilari quanto irrangiungibili, con il solo ascolto sarebbero riuscite a salvare, anche per un solo istante, qualsiasi anima rapita dal patto con il diavolo. Le montagne di cristallo di Presence sono brevi quanto tenui e sono contornate da impalpabili nicchie sintonizzate su frequenze di tripeggiante e serafico Ambient. A Simple Mistake, con i suoi momenti di naturale bellezza e psichedelia pura, con la sua impronta onirica e progressiva e con le sue improvvise scariche elettriche, ad opera delle chitarre, che risuonano come tuoni, ci provoca un nodo alla gola. Si continua con i luminosi raggi di sole di Get Off, Get Out nella quale il nostro caro Vincent presenta un’impetuosa e avvincente voce filtrata e colma d’ effetti, che nonostante il flavour più d’impatto e rock-oriented riesce a mantenere ancora una gradita fluidità leggera. Universal da ancora prova della duttilità dell’isolano vocalist, e ci avvolge con la sua puntina di metifico carisma, con le sue sei corde allucinanti ed enfatiche e con il suo mood solenne e soffuso che desideroso si espande verso l’infinito. Si chiude con il fascino siderale della sublime Hindsight, che percorre ancora vie siderali, ed è dotata di un flauvour talmente solenne e sacrale che ci cambia dentro con i suoi abbacinanti cocci semi-mistici.

Abbiamo la certezza che per i lungimiranti Anathema, che inanzittutto il nostro è il migliore dei mondi possibili e che secondariamente questo è un cd che ha dato nuovo lustro alla loro stessa essenza e al nostro fanciullesco io. Ma abbiamo anche la certezza del valore assoluto dei loro nuovi guizzi abbacinanti, che non temono confronto neppure con gli altri album storici dei nostri liberi sognatori inglesi preferiti. Lampi brevi, da sentire oltre che ascoltare, che facilmente allieveranno con mano ferma ogni nostro dispiacere.

  • 8,5/10

  • ANATHEMA - We’re Here Because We’re Here

  • Tracklist

    01. Thin Air
    02. Summernight Horizon
    03. Dreaming Light
    04. Everything
    05. Angels Walk Among Us
    06. Presence
    07. A Simple Mistake
    08. Get Off, Get Out
    09. Universal
    10. Hindsight


  • Lineup

    Daniel Cavanagh - chitarra
    Vincent Cavanagh - voce, chitarra
    Jamie Cavanagh - basso
    Les Smith - tastiere
    John Douglas - batteria