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BURZUM – Belus

Le ultime parole famose.

Suonano così le affermazioni del norvegese Varg Vikernes, universalmente noto come Burzum, nelle quali, all’alba dei siderali full Ambient, sanciva il suo allontanamento dal Verbo Nero, definito grossolanamente come “musica di negroidi”. Ed invece, proseguendo un discorso brutalmente interrotto, il membro dell’ oneman torna a comporre tipiche e personali composizioni di Metallo Nero per le quali egli può vantare una laurea a grandi voti (molto meno per l’ Ambient, ma questa è un’alta storia). Infatti arriva il momento del concepimento nel 2010, anno pieno di uscite scintillanti, del ragionato e studiato “Belus”, dotato di un un battage pubblicitario importante,
che effettivamente segna un ritorno al Black Metal, anche se alle stranezze dell’eclettico compositore, ormai privo di catene, dovremmo esserci ormai abituati. Esso, ispirato come sempre agli studi mitologici del Conte, narra della morte del Dio Bianco (Belus), che porterà all’esplosione del Ragnarok, che è la guerra tra gli Dei. Un album incurante dei trascorsi musicali di questi undici anni ma che riprende dove era stata lasciata la sorella d’intenti Hvis Lytar Tar Oss, della quale rappresenta la logica conseguenza. Riallacciando i nodi tagliati da Filosofem, possiamo osservare un ritorno al Black minimalista della migliore tradizione, che nessuno suona come lui, nonostante egli abbia influenzato miriadi di bands, che hanno tentato di monetizzare la sua formula vincente, formula che vede ora protagonisti chitarra, basso e batteria, cesellata da un tipico rifferama d’ alta scuola, ipnotico, allucinante e con una punta psichedelia di matrice depressive. Per quanto riguarda il cantato la voce del dotto di Bergen è inconfondibile come sempre e mantiene sempre un modus operandi gracchiante e sgraziato simile al cantato di un corvo. Le sue parti a sei corde si insinuano sulle sinapsi, con la loro evocativa ripetitività, nelle quali c’è un gioco sottile di onde di atmosferici chiaroscuri inghiottiti dalle nebbie, che ci avvolgono in una morsa, e, scendendo nel profondo della parte oscura, si arriva alla consapevolezza che ognuno di noi vive imprigionato nei propri limiti.
Leukes Renkespill (Introduksjon) è una breve introduzione, strumentale, che sembra quasi declamare dei lavori compiuti nelle viscere di una miniera. Si prosegue con Belus’ Doed che ci riporta il Conte ai massimi livelli espressivi che lo hanno caratterizzato, nella quale, in un mare di sublime ripetitività melodica, marciano demoni sbuffanti, i quali ci permettono di perdersi, affogare e riaffogliare letteralmente e totalmente. Ma la più genialoide ed irresistibile rimane Glemselens Elv, scarsamente illuminata dalla luce della luna, che, scorrendo nei nostri vasi sanguigni, ci fa sprofondare verso impulsi fantasmatici. Affascina, fin dal primo ascolto, Kaimadalthas’ Nedstigning, che non è lenta come una lumaca come le sorelle precedenti ma, nonostante mantenga un flavour solenne e quasi severo, presenta esplosioni veloci, dinamiche e ritmate. Si inseriscono in questo scenario delle vocals recitative e una trance psichedelica, che insieme danno le vertigini. Si torna ancora sul luogo del delitto con la grintosa Sverddans, breve ma intensa, la quale è densa di mistero e di esoterismo ed è annebbiata in densi e grigiastri fumi d’incenso, in un mondo senza colore. Keliohesten riprende un coraggioso viaggio verso le caverne del buio della psiche umana, dove emergono le sottigliezze più becere, i fantasmi più funesti e il veleno che si fa edera amara. Perversione e malvagità sostengono le vibrazioni di una musica immortale, torbida e densa di oscurità, in Morgenroede, nella quale emergono con vigore disomogenee distorsioni metalliche e stroncature secche tipiche da endovena. All’ultimo posto si insedia la trance tormentata di Belus’ Tilbakekomst (Konklusjon) che si distingue dal rumorismo assoluto con vibrazioni dal sapore noise e sfumature indefinite ma trasbordanti, nel quale, un’ anima avvelenata in agonia, sembra boccheggiare l’ultimo respiro.

Concludiamo affermando con sicurezza che “Belus” racchiude in se passato, presente e futuro di Burzum, artista che non solo continua ad essere il caso della scena Black norvegese, ma svetta sugli altri senza possibilità d’appello con il suo genio sempre senza confine e con la sua mente illuminata: Sempre più sicuro ed inamovibile dal marmo della gloria nel quale è stato scolpito, solo lui e la propria arte, il leggendario Artista norvegese mantiene il suo status eccellente, grazie anche a questo nuovo e autarchico platter, che è senza dubbio la migliore uscita estrema dell’anno.

  • 8/10

  • BURZUM - Belus

  • Tracklist

    01.Leukes Renkespill
    02.Belus' Død
    03.Glemselens
    04.Kaimadalthas' Nedstigning
    05.Sverddan
    06.Keliohesten
    07.Morgenrøde
    08.Belus' Tilbakekomst (Konklusjon)


  • Lineup

    Varg Vikernes- Tutti gli strumenti