Loading

PAGANFEST@ ESTRAGON BOLOGNA 21/03/2012

Veramente una strana kermesse questo Paganfest, che ha mutato ripetutamente volto nel corso della storia e di tante edizioni fino ad arrivare all’attuale incentrata prevalentemente su gruppi che incorporano tendenze folk a svariati tipi di metal. Riunire nella definizione “Pagana” bands che affrontano temi diversissimi tra di loro quali mitologia celtica e il culto della natura è una scelta quantomeno curiosa, anche se la disamina del Paganesimo meriterebbe spazi più ampi e non una semplice introduzione. Comunque la cosa più curiosa (triste? squallida?) è il merchandising con magliette raffiguranti un guerriero vichingo quando di gruppi scandinavi ad esibirisi non vi è nemmeno traccia. Comunque lodevoli le esibizioni delle bands, nonostante qualcuna che su un palco così grande sembra veramente fuori luogo e spaesato. Il pubblico comunque non manca, anche se un Estragon pieno neanche per metà non è propriamente un bello spettacolo. Ecco il report del Paganfest edizione 2012, con le luci e le ombre che lo hanno contraddistinto.

SOLSTAFIR

I primi a esibirsi sono gli islandesi Sólstafir, che salgono sul palco puntualissimi alle 18.45, proponendo al pubblico il loro tipico folk metal nordico con influenze legate al post e al black metal. Il loro show, seppur impeccabile da un punto di vista tecnico, si consuma in una quarantina di minuti piuttosto noiosi, senza che il gruppo faccia realmente presa sul pubblico, ancora piuttosto scarso, che non li accoglie con eccessivo calore. Se da un punto di vista musicale la band si mostra matura e, tutto sommato, apprezzabile, lo stesso non si può dire per la disinvoltura sul palco. Immobili e tendenzialmente “freddini”, i Sólstafir non riescono a coinvolgere la folla nemmeno con la hit “Fjara”. Sicuramente, non li aiuta la durata media dei pezzi che si attesta sui dieci minuti buoni ciascuno.

(Arianna)

HEIDEVOLK

Reduci dal successo ottenuto dal loro ultimo album, “Batavi”, gli olandesi Heidevolk salgono sul palcoscenico dell’Estragon quando la platea inizia a riempirsi e anche i ritardatari fanno il loro ingresso nell’ampio locale di Bologna. E’ difficile spiegarsi secondo quale principio gli organizzatori del festival abbiano scelto di riservare per loro una posizione così bassa in bill, visto il grande numero di fan che si portano dietro da qualche anno e l’innegabile carisma del gruppo sul palco. In ogni caso, lo show scivola via veloce e, finalmente, il pubblico sembra svegliarsi. Gli olandesi calcano la scena con la naturalezza di band ben più mature e la scelta della scaletta sembra soddisfare anche i fan più esigenti. Highlight dello show è sicuramente ”Vulgaris magistralis”,cover che i ragazzi propongono al pubblico con un’incredibile carica. Quello degli Heidevolk è uno degli show più riusciti dell’intera serata e non mancano le proteste quando, dopo appena una quarantina di minuti, la band si prepara a cedere il passo alla band successiva.

(Arianna)

NEGURA BUNGET

I rumeni sono una band fantastica che riesce a creare una atmosfera e un’intensità anche in sede live ineguagliabili. Peccato che suonino nel posto sbagliato all’ora sbagliata. L’Estragon è un posto troppo grande, dispersivo e dalle luci troppo intense per i transilvaniani che putroppo disperdono la loro intensità e il loro pathos in un concerto all’ora di cena in un locale enorme. Il loro black metal ricco di contaminazioni e sperimentazione putroppo questa sera non riesce ad esprimersi in tutto il suo potenziale, anche se la band ce la mette tutta. Forse avrebbero dovuto concentrarsi unicamente sui loro brani più d’impatto, perché in alcuni frangenti la presa sul pubblico sembra persa e si sente anche qualche risata quando il chitarrista si mette a suonare campanacci da mucca. Comunque tutti i presenti rimangono senza fiato di fronte all’esecuzione di un brano strumentale ricco di percussioni in cui i Negură Bunget riprendono un po’ lo spirito gitano della loro terra e proiettano il pubblico in un viaggio ultraterreno. Veramente un gruppo incredibile da rivedere in una sede più adatta alle loro atmosfere.

(Fabrizio)

PRIMORDIAL

Lo ammetto candidamente: non mi piacciono i Primordial e non riesco a capire come mai tanta gente li trovi così entusiasmanti. Comunque dodici anni di assenza dall’Italia sono tanti e ci sono parecchi fan che sono al Paganfest unicamente per gli irlandesi. L’ingresso della band sul palco è accolta con boato, soprattutto per l’incredibile presenza scenica di Alan Nemtheanga: immaginate un hooligan con un face painting veramente spaventoso e vi sarete fatti una vaga idea del personaggio! anche lo show verte soprattutto sulla peformance del cantante, veramente teatrale in ogni sua movenza e dotato di un carisma magnetico. Purtroppo è dal punto di vista musicale che il quartetto non mi convince, il loro misto di black, doom e metal classico mi sembra molto impastato e fin troppo semplice, anche se i fan apprezzano e in svariati frangenti si scatena un pogo selvaggio. Tutto si può dire dei Primordial se non che non siano una band sincera e infatti anche stasera mettono ogni oncia di energia nello show, lasciando una buona parte del pubblico, soprattutto gli over trenta, sfinita ed appagata.

(Fabrizio)

ELUVETIE

Finiti i Primordial parte dell’Estragon si svuota e si assiste ad un certo cambio generazionale tra le prime file. L’ultimo album degli Eluvetie è stato ben accolto da pubblico e critica e si respira una certa aspettativa per il concerto degli svizzeri. Gli elvetici si presentano sul palco accompagnati proprio dall’intro che apre “Helvetios” e vengono accolti da applausi unanimi. L’attacco è senza troppi fronzoli e chiacchiere: la title track e “Luxtos” eseguite in fila e senza sbavature proprio come nell’album per scatenare pogo e balli nel pit sotto il palco. C’è poco da dire, omai gli svizzeri dal vivo sono una macchina da guerra ben rodata ed oliata ed il loro death metal intriso di folk diverte e coinvolge. A parere del sottoscritto il momento migliore è più o meno a metà del concerto. “Meet the enemy” non scatena il pogo selvaggio che mi sarei aspettato ma risulta sempre un brano meraviglioso, violento e ricco di pathos, mentre “(DO)minion” si apre come di consueto con un wall of death tritaossa. “A rose for Epona” sinceramente è una prassi che poteva tranquillamente essere evitata, anche se mette in luce le buone doti vocali di Anna Murphy. Parlando di tecnica, il buon frontman Chrigel si rivela essere cantante ed entertainer completo, oltre che polistrumentista notevole in grado di suonare flauto, cornamusa e mandola. Solida e massiccia la performance del batterista, mentre dal vivo emerge una certa mediocrità tecnica dei due chitarristi, statici e dai riff a volte un po’ troppo simili a quelli dei Dark Tranquillity. Comunque i volumi alti ed il calore dei fan coprono anche queste magagne e alla fine sono tutti sudati e felici, sia sopra che sotto il palco.

(Fabrizio)