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Rhapsody Of Fire + Kaledon + Bejelit

Le corse che si compiono per andare a vedere i concerti sono incredibili: è un salto indietro nel tempo, una lezione di gioventù che ti entra in corpo e che ti stimola a farcela anche se sai benissimo che non ce la puoi fare. Per chi ha da attraversare Milano, l’orario di arrivo alla location è tristemente tabù. Ne sono conscio mentre mi reco al cospetto dei Rhapsody Of Fire nella loro calata meneghina…forte è la curiosità per vedere l’act senza Turilli, senza contare che aspettavo al varco Fabio Lione (di cui ho un antico ricordo, aprile del 2000 di spalla agli Stratovarius, che mi aveva lasciato l’amaro in bocca); c’è curiosità ulteriore verso i due supporting act, Kaledon e Bejelit,  che completano questo bill interamente tricolore. Il Live Club è inizialmente pieno poco meno della metà e, a fine serata, raggiungerà i tre quarti della capienza. Non c’è da stupirsi, avendo programmato numerose date nel paese e soprattutto in posti relativamente vicini (Milano, Bologna e Treviso).

BEJELIT

Puntuali come un orologio, alle 20 salta sul palco l’act novarese chiamato Bejelit: forti del nuovo capolavoro “Emerge”, la band dimostra di essere in grado di proporre dal vivo la stessa professionalità raggiunta in studio. Sarà l’eccitazione per questo tour, sarà l’ingresso di Marco Pastorino alle chitarre, ma i Bejelit sembrano aver raggiunto uno status ottimale! Dall’opener “The Darkest Hour” sino alla conclusiva “Dancerous”, i fratelli Capone&co danno fuoco a tutte le proprie energie, regalando uno show coinvolgente. Nonostante qualche piccolo problema tecnico e un sound esterno ai minimi termini, canzoni come il singolone “Emerge” o “Fairygate” fanno saltare e pompare l’audience presente, grazie anche all’estro di Fabio Privitera, che oltre alla voce ci mette anima e corpo per rendere indimenticabili questi 30 minuti. Dopo appena cinque canzoni, il quintetto lascia lo stage tra applausi e ovazioni. Inizio alla grande…

Setlist:
1. The Darkest Hour
2. Fairygate
3. Emerge
4. We Got The Tragedy
5. Dancerous


KALEDON

Dopo circa venti minuti, l’attesa diventa spasmodica per i romani Kaledon, altra vera icona del metal italiano. Le aspettative ci sono tutte e la curiosità dei presenti brama uno show che sia coinvolgente. Purtroppo però, le cose non vanno nel come nelle previsioni. Intendiamoci, i Kaledon sono precisi e perfetti dal vivo, compatti e pignoli nelle esecuzioni, ma quello che in sede live viene un po’ a mancare sono il ‘tatto’ con il pubblico e la resa delle songs…nonostante possano usufruire di un sound nettamente migliore rispetto ai Bejelit, il loro heavy/power metal sembra annacquato e con poco tiro, lasciando sulle spalle del dotatissimo Marco Palazzi l’intera resa dei loro 40 minuti. Canzoni come “Steel Maker” e “Desert Land Of The Warrior” scorrono via solleticando il pubblico delle prime file, ma senza andare a segno al 100%. L’unica smossa degna del loro show è rappresentata da “The New Kingdom”, la song più conosciuta del sestetto romano, che mette la parola fine al loro dignitoso ma piuttosto freddino show; l’audience comunque è per una buona fetta dalla loro parte e la band esce tra gli applausi dei presenti.

RHAPSODY OF FIRE

Quasi 45 minuti di trepidante attesa scazzano un po’ l’audience, ma dalla prima nota i Rhapsody Of Fire si fanno amorevolmente perdonare. ”From Chaos To Eternity” apre le danze in un tripudio di gente a mani alzate e di autentici headbanging; “Triumph Or Agony” e “Land Of Immortals” (con degna presentazione di un ‘furfante’ Lione) proseguono mettendo in mostra la perfezione dei fratelli Holzwarth alla sezione ritmica e alla quasi perfetta alchimia delle due asce…il suono matura nel corso della prima mezz’ora e questo permette di ascoltare un Fabio Lione sopra le righe, ispiratissimo e preciso in ogni passaggio. Arrivano “Unholy Warcry” e “Aeons Of Raging Darkness” a far da padrone anche se al cospetto della successiva “Dawn Of Victory” il concerto avrebbe potuto finire perché l’audience è riuscita a superare i decibel della musica. Tra un drum solo e un bass solo (davvero pregevoli ma poco dediti a un pubblico ‘power’), lo show si infarcisce di capolavori come “The Village Of Dwarves” (anche se la tastiera di Staropoli era completamente coperta dalle chitarre), dalla atmosferica “The Magic Of The Wizard’s Dream” e dalla hit “Holy Thunderforce” che spazza via ogni forma di vita. C’è tempo ancora per qualche song e arrivano “Reign Of Terror” e “Nightrider Of Doom” mentre “Emerald Sword” esce dagli strumenti sorretta dal coro dell’audience; il finale è affidato a “Erian’s Lost Secrets” e “The Splendor Of Angel’s Glory”, cosa che fa arricciare un po’ il naso ai presenti che si aspettavano altre ‘botte’ come “Wisdom Of The Kings” o “Lamento Eroico”. Ma l’ovazione per uno dei maggiori act italiano del metal è senza dubbio meritata, vista la caratura messa on stage.

Si esce dal Live Club distrutti e provati dal passaggio di queste tre band che non hanno fatto prigionieri. Applausi ovvi ai Rhapsody Of Fire, che hanno dimostrato di non essere Turilli-dipendenti, e alla performance dei Bejelit (rimasta sulle bocche di molti). Un po’ meno ai Kaledon che nonostante la grande caratura musicale hanno centrato l’obiettivo solo a metà.

Setlist:
1.Ad Infinitum
2.From Chaos to Eternity
3.Triumph or Agony
4.Unholy Warcry
5.Lost in Cold Dreams
6.Land of Immortals
7.Aeons of Raging Darkness
8.Drum Solo
9.The March of the Swordmaster
10.Dawn of Victory
11.Bass Solo
12.The Village of Dwarves
13.The Magic of the Wizard’s Dream
14.Holy Thunderforce

Encore:
15.Reign of Terror
16.Knightrider of Doom

Encore 2:
17.Epicus Furor
18.Emerald Sword
19.Act VI: Erian’s Lost Secrets
20.The Splendour of Angels’ Glory (A Final Revelation)