Il mondo del metal è globalizzato come tutti gli ambiti della vita odierna, non fa più notizia la provenienza geografica di un gruppo ed è pure inutile, nella maggior parte dei casi, andare a ricercare influssi della cultura del paese d’origine nella musica offerta. Anche nel caso del black metal, la cui “nordicità” è celeberrima, il fatto di provenire dalla Spagna, come avviene per il duo autore di “Godless Prayers”, poco cambia ai fini dell’apprezzamento dell’album. Di calore e solarità non vi è traccia in questa release, la quarta sulla lunga distanza dei nostri, a cui vanno sommate un’altra mezza dozzina fra 7” pollici e demo, per una carriera finora molto attiva e giunta a un discreto stadio di maturità e alla focalizzazione su un sound ben definito
I Daemonlord non puntano a ridefinire le coordinate del genere o a darne un’interpretazione particolarmente personale, solo ripropongono nelle loro song tutto quello che caratterizza questo tipo di musica se non dagli albori, mancandovi qui il grezzo primitivismo dei precursori, almeno dal momento in qui si è aperto alle masse.
Forte anche di una registrazione all’altezza senza sembrare moderna o poco consona all’identità della band, le dodici tracce del lavoro sono un buon compendio di atmosfere sinistre, chitarre sgraziate e dalle inconfondibili melodie tremolanti, batteria scheletrica e impostata su tempi minimali, singing strozzato e corrotto nel midollo. All’interno della tracklist, ben bilanciata tra canzoni dai ritmi compositi e altre più inclini a velocità esasperate, il filo rosso che unisce i pezzi è la sensazione di gotica negatività che emanano, il non cadere nel marciume più totale ma l’attestarsi in una via di mezzo tra il black più intransigente e gli ambigui sentori romantici del black sinfonico. Anche se di tastiere e musica classica non vi è quasi traccia, i Daemonlord con pochi accorgimenti a livello chitarristico e qualche indovinato arrangiamento riescono ad essere atmosferici anche nelle parti più concitate ed estreme, e accanto a queste imbastiscono brevi mid-tempo di una certa solennità, il cui spirito di grandeur non arriva ai livelli di act come gli Emperor ma ci ricordano che il black non è solo misantropia e negatività.
Nessun difetto evidente nella prova di Kepa, chitarrista e mente del gruppo, ed Egnar, cantante; i musicisti che li hanno aiutati, di cui non è fatta alcuna menzione nella bio, hanno svolto il loro compito più che dignitosamente, contribuendo a creare un album ben congegnato e con qualche speranza di essere notato tra i cultori del black tradizionale. “Godless Prayers” rappresenta per tutti gli adoratori della nera fiamma un buon ripasso degli elementi cardini della loro musica preferita.