Uscito il 1 Giugno 2007 per la Steamhammer/SPV, “Ghost Opera” è l’ottavo studio album dei Kamelot. Come sonorità questo disco non si discosta molto dal suo predecessore “The Black Halo”, anche se le tematiche presenti nei testi non hanno più a che fare con il concept basato sul “Faust” come nei due episodi precedenti della discografia della band.
Il disco si apre con un’“Intro” della durata di un minuto netto a cui subito segue “Rule The World”, brano perfettamente in linea con le sonorità di “The Black Halo”. Terminata questa, è la volta della title-track nonché singolo di lancio dell’album, un pezzo barocco e pomposo che ben si addice allo status di singolo di traino. La maestosità di questo brano culmina nel ritornello in cui compaiono in secondo piano i sinistri vocalizzi di Amanda Somerville che ben contribuiscono a creare l’onirica atmosfera che si potrebbe provare in un teatro di fantasmi. Atmosfera che persiste anche nelle liriche del brano successivo: So it hurts to be alive, my friend, in this masquerade where all one day must die.
Fino alla quinta traccia, che stacca decisamente la spina dall’atmosfera dei pezzi precedenti: dal teatro infestato in cui sembrava di essere rinchiusi poc’anzi, ci troviamo catapultati in un gelido mattino di Aprile sul ponte di una nave, dove la voce di Roy Khan è quella di un uomo che, ormai vicino alla propria fine, ripensa alla sua donna. La nave in questione è il cabinato Tedesco Blücher, affondato dall’artiglieria Norvegese nel 1940, e la donna che da lontano si abbandona ai ricordi insieme al suo uomo ha la voce di Simone Simons degli Epica, già guest star del precedente studio album nel pezzo “The Haunting”. I rumori di spari e urla umane in sottofondo e le stranianti voci filtrate contribuiscono a sottolineare la drammaticità di uno dei migliori pezzi dell’album.
Nel pezzo successivo c’è ancora una voce femminile a duettare con Roy Khan: torna Amanda Somerville (presente in tutto tre volte nell’album) nella delicata ed emotiva “Love You To Death”. A seguire “Up Through The Ashes”, un’ottima interpretazione di Roy qui alle prove con il brano vocalmente più interessante del disco, sia per le linee vocali che dal punto di vista dell’interpretazione del particolare personaggio cui dà voce: si tratta infatti di Ponzio Pilato durante il processo a Gesù Cristo, che di fronte alla folla acclamante Barabba sospira: Before I let you die, you must forgive me.
Il resto del disco prosegue senza nulla togliere né aggiungere -eccezion fatta per una parentesi di cantato gregoriano- a quanto già appartenga allo stile della band capitanata dal tenore Norvegese fino ad “Anthem”, ballad del disco in cui protagonisti sono le tastiere e la voce del frontman, filtrata in tutto il pezzo, quasi a suonare lontana e dispersa nel tempo. Chiude il disco “EdenEcho”, in cui è il coro a dare maggiore rilievo ai ritornelli.
In definitiva un buon disco perfettamente inserito nella poetica della band, che segue fedelmente la scia del suo predecessore, forse superandolo addirittura dal punto di vista della varietà.