Che cosa ci aspettiamo da un album Pomp Rock? O meglio, che cosa ci aspettiamo quando ci troviamo davanti il nuovo lavoro dei Magnum, maestri indiscussi del Pomp Rock? Con deferenza, si spera febbrilmente che sia maestoso ai limiti della decenza e del buon gusto, ma anche un passo più in là.
E anche con “Sacred Blood “Divine” Lies” ci siamo. Il tempo che passa scalfisce appena il raffinato gusto di Tony Clarkin e dona classe ed eleganza ulteriore ad un incartapecorito, ma sempre splendente, Bob Catley. Una opener ampia come piazza d’armi ci fa sentire subito al sicuro, i Magnum non ci deluderanno nemmeno questa volta. La formula è sempre la stessa e mai vorremmo vederla cambiare, il tono è magniloquente e le finezze immutate.
Le “Crazy Old Mothers” incedono lente e pesanti, mentre è compito di una “Gypsy Queen” quello di accendere i sensi di calda voluttà.
Dieci pezzi a rimarcare il carattere di una band che da sempre sa come fare felici i propri fans, senza cadere nella monotonia, anche se un pizzico in più di energia nel lavoro di Harry James avrebbe senz’altro rinforzato questa sensazione.
Rivivono gli anni Ottanta in episodi come “Princess in Rags (The Cult)” e “Your Dreams Won’t Die“, dal chorus irresistibile; dopo l’ipnotica “Afraid of the Night“, ci vuole la bella scarica di potenza delle massicce “A Forgotten Conversation” e “Quiet Rhapsody“. Chiudono un album decisamente piacevole il ritmo di “Twelve Men Wise and Just” e la dolcezza di “Don’t Cry Baby“.
Avete davvero bisogno di altre parole per “Sacred Blood “Divine” Lies“? Ascolto doveroso per i Magnum fans e per tutti i nostalgici.