Se c’è stato un gruppo di metal tradizionale che, a cavallo del millennio, ha entusiasmato, o quantomeno incuriosito, anche un pubblico al di fuori dalla schiera dei defenders, senza andare ad infilarsi nei corridoi di melodie facili e doppia cassa a manetta, questi sono i Control Denied. Creatura dell’ormai defunto genio del death metal Chuck Shuldiner, andavano ad incarnare le pulsioni meno estreme di questo grande musicista. Un unico frutto i mortali hanno potuto assaggiare di questo ensemble, dal profetico titolo di The Fragile Art Of Existence, che mostrava quanta ispirazione avesse Chuck anche su sonorità (apparentemente) distanti dalla casa madre.
A tirar le fila delle alchimie strumentali del solito dream team messo in piedi da Shuldiner, c’era un certo Tim Aymar, cantante dei qui presenti Pharaoh. Se gli illustri trascorsi possono motivare un avvicinamento al gruppo, ben vengano i passati curriculum, ma non ci si fermi a questo: non di solo singing è fatta la musica e il resto della combriccola di Aymar non è da sottovalutare.
Al terzo album, i Pharaoh fanno sì che il classico power a stelle e strisce flirti sempre più insistentemente col prog raffinato, e mai barocco, di Fates Warning e Queensryche, che si incastona in brani che bilanciano potenza e ricercatezza.
Le stesse scelte dei suoni cercano di sottolineare entrambe le anime del gruppo, perché se da un lato si è ricercata la nitidezza e la pulizia, per far risaltare soprattutto gli intrecci chitarristici, non si sono di certo alleggerite le ritmiche, che conservano una pesantezza più che sufficiente, oltre che un buon dinamismo.
I brani che compongono l’album presentano uno spettro sonoro abbastanza ampio, dove a spiccare sono sicuramente gli episodi in cui l’impronta prog è più manifesta.
Decisamente avvincente l’avvio, con la coivolgente e articolata Speak To Me, seguito da un’accoppiata più speedy come Dark New Life e No Remains, buone ma leggermente inferiori all’opener. Red Honor è più cadenzata e ha linee di chitarra meno serrate, Buried At Sea è un altro highlights, caratterizzata dall’alternanza tra riffs ariosi e serrati, Aymar aggredisce e accarezza e i crescendo strumentali sono di grande effetto. E’ forse la canzone in cui l’influsso progressive è più marcato, mentre la successiva Rats And Rope va giù più dura, risultando il picco in termini di potenza dell’intera release.
Cover Your Eyes And Pray si dispiega su tempi medi, appaiono un velato feeling epico e delicate melodie, Telepath aggredisce maggiormente, rispettando una certa alternanza tra pezzi più complessi e songs più dirette, mentre la chiusura è affidata ad una grande Be Gone, incentrata su un riff dissonante e sospeso che traghetta alla conclusione dell’ascolto.
Non ci sono cadute di stile da rilevare, ma risulta abbastanza chiaro che la band ha più mordente quando ricerca soluzioni meno immediate e le chitarre svolgono un lavoro più fantasioso, soffermandosi più sulle melodie che sull’impatto.
Ottima la prova di Aymar, che canta con voce piena con un tocco di ruvidezza, e sfodera tonalità taglienti all’occorrenza, ma buono è il lavoro di tutto il gruppo, che firma un’opera degna di nota e che può attrarre un pubblico vario, in grado di soffermarsi attentamente sui particolari di cui il disco è pregno.
PHARAOH – Be Gone
PHARAOH - Be Gone
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Tracklist
01. Speak To Me
02. Dark New Life
03. No Remains
04. Red Honor
05. Buried At Sea
06. Rats And Rope
07. Cover Your Eyes And Pray
08. Telepath
09. Be Gone
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Lineup
Tim Aymar - cantante
Matt Johnsen - chitarra
Chris Kerns - basso
Chris Black - batteria
- GenerePower Metal
- Anno2008
- Casa discograficaCruz Del Sur/Audioglobe
- Websitehttp://www.cruzdelsurmusic.com