Le grandi band hanno sempre carattere e, nel bene o nel male, sanno come dimostrarlo; succede spesso di non apprezzare un’uscita nel breve, ripudiando la nuova visione musicale in favore di un attaccamento morboso al passato, tornando poi sui propri passi dopo anni e riscoprendo quella magnificenza che si celava a pochi centimetri di distanza.
I Rage possono plasmarsi ad esempio per il concetto di camaleontismo; complici i cambi di lineup che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni, il trio ha saputo cavalcare le varie mode power quasi sempre con risultati soddisfacenti, puntando a rinverdire il proprio sound con modernità e prospettiva e assumendosi qualche responsabilità pioneristica…i nuovi Rage, ovvero Wagner/Rodriguez/Maniatopoulos, rappresentano il sunto perfetto di tutto le ere del combo teutonico creando un connubio fresco e sostanziale senza troppi fronzoli.
“Seasons Of The Black” assume una posizione di rilievo nella discografia di Peavy e soci, in quanto conferma l’ottimo status compositivo e la ‘presenza’ esecutiva; la produzione è oscura e all’avanguardia nei tipici canoni della band, con un mixing e un mastering che pompano ostinati sia la forza ritmica che gli arrangiamenti fluidificati. Le performance sono studiate nel minimo dettaglio, unificate, dirette e prive della minima imperfezione, grazie anche all’utilizzo di una gamma di suoni limpidi e ottenebranti che fanno la differenza.
Già dalla titletrack si capisce che la propensione per i midtempos pomposi rappresenta la vera natura dell’act tedesco; “Serpents In Disguise”, “Septic Bite” e “Walk Among The Dead” picchiano pesanti sotto il vocione maturo di mr. Wagner mentre la vena melodica fuoriesce nella più easy “Time Will Tell”. Menzione a parte se la meritano le azzeccatissime “Blackened Karma” e “All We Know Is Not”, pezzi da novanta in chiave live, mentre la passione orchestrale si palesa nella suite finale “The Tragedy Of Man”, divisa in quattro parti epiche e devastanti grazie ad un ragionato uso degli arrangiamenti.
“Season Of The Black”, a distanza di poco più di un anno dal precedente “The Devil Strikes Again“, è la testimonianza dell’ottima salute di una di quelle realtà che ha attraversato (quasi) indenne più di trent’anni di mode e generazioni musicali…ci sono l’esperienza di Peavy e la gioventù di Rodriguez e Maniapoulos in gioco, e la sostanza non solo ha iniziato a prendere forma ma appare più che mai convincente.