A distanza di 5 anni dall’ultimo Vapor Trails (2002), album che segnava il ritorno sul mercato dei Rush dopo le gravi tragedie familiari occorse al batterista del gruppo Neil Peart, il 26 Aprile in anticipo di 5 giorni rispetto alla data di rilascio prevista per il 1 Maggio, è finalmente nei negozi il nuovo album dei Rush intitolato Snakes&Arrows. Il full lenght in realtà è stato preceduto il 12 Marzo dall’uscita del primo singolo dal titolo Far Cry, disponibile solamente tramite download a pagamento e ascoltabile in versione streaming sul sito ufficiale della band.
Registrato tra Novembre e Dicembre 2006 negli Allaire Studios di New York e prodotto insieme al famoso Nick Raskulinecz (Foo Fighters e System Of A Down), Snakes&Arrows vanta un artwork molto particolare, dal sapore etnico e molto misterioso. Leggendo infatti alcune interviste fatte a Neil Peart prima dell’uscita dell’album, si è scoperto che la cover del Cd in realtà non è un disegno originale ed inedito, ma è invece identico ad un dipinto di tale Harish Johari, un grande artista Indiano (scrittore, pittore, filosofo e pranoterapeuta). Dopo la lettura del libro Leela di Johari, il batterista dei Rush rimasto affascinato dalle tematiche trattate dal testo filosofico in questione, ha quindi scelto il titolo dell’album e copertina ispirandosi a tale scritto. Il libro infatti parla di un gioco Hindi antichissimo intitolato Snakes&Arrows creato da alcuni Buddisti più di 2000 anni fa e che ha come fonte di ispirazione il Karma, ovvero una famosissima e antichissima filosofia Orientale che regola causa-effetto delle azioni che ogni individuo compie nella propria vita. Un filo conduttore lega quindi quest’ultimo album a due lavori precedenti dei Rush, ovvero Vapor Trails che a livello di tematiche si ispirava al gioco dei tarocchi e Roll The Bones, ispirato ai dadi (altri due giochi che possono essere “letti” anche come metafore della vita).
Proprio in merito al significato così profondo trasmesso dalla copertina, Neil Peart non ha voluto inserire alcun logo della band sulla cover anteriore del cd, proprio per non coprire il disegno e facendo in modo che ogni immagine e figura rimanesse intatta. La scritta e il logo Rush invece, appaiono sia nella fascetta anteriore laterale, sia come adesivo applicato sulla parte anteriore del jewel case del cd.
Oltre al quadro di Johari, troviamo all’interno del booklet alcune fotografie e scatti di due artisti molto importanti ovvero Hugh Syme e Andrew McNaughton, rispettivamente il creatore dei disegni e copertine dei Rush e il fotografo autore di parecchie foto ufficiali di Neal Peart e della band in generale. Gli scatti sono veramente splendidi ed in ogni pagina del booklet corredata dai testi di ogni brano, c’è una foto che ne legge il significato e cerca, tramite alcune immagini e simbolismi, di svelare quelli che sono i pensieri e le sensazioni del paroliere e batterista del gruppo.
Le tracce del cd sono 13 di cui 3 strumentali e sono come al solito composte dalla coppia Lee-Lifeson per quanto riguarda la musica (tranne la traccia Hope), mentre Neil Peart si occupa dei testi. La produzione è su livelli decisamente alti e la mano di un uomo di esperienza come Nick Raskulinecz si sente eccome.
I suoni di tutti gli strumenti sono perfettamente bilanciati e risultano nitidi e puliti, così come anche un gran lavoro è stato fatto a livello di arrangiamenti e sovraincisioni che non risultano mai ridondanti o troppo esagerate rispetto agli strumenti principali.
Ma ora analizziamo in dettaglio ciascuna traccia del nuovo album dei Rush. L’opener del cd è il primo singolo lanciato sul mercato dalla band, ovvero Far Cry. Il brano si apre subito con un riff pungente che fa da introduzione al theme principale ricco di enfasi e mordente. Il ritornello un po’ “ruffiano” è di quelli che si ricordano già dopo i primi ascolti. Un brano di sicuro effetto e che serve a far capire che i Rush non sono dei vecchietti rammolliti, ma hanno ancora molto da dire in ambito musicale. Il secondo brano Armor And Sword è uno dei miei preferiti di Snakes&Arrows. Un intro di batteria introduce ad un‘apertura melodica stupenda e raffinatissima come solo il Trio Canadese riesce a partorire. La voce di Geddy Lee non sembra risentire degli anni che avanzano e con questo album sembra essere ritornata quasi ai livelli degli esordi. Anzi a livello tecnico, si nota come nel corso degli anni Geddy sia migliorato ed abbia imparato a dosare bene il proprio “strumento”.
Working Them Angels è la traccia successiva, brano che sembra rimandare a sonorità 60/70 tanto care alla band (testimonianza di ciò è il cd di cover Feedback registrato dai Rush nel 2004). Gran lavoro sul mid-tempo da parte di Neil Peart che riesce ad inserire ritmiche e fills di batteria grandiosi ma mai eccessivi. Nella parte centrale del brano da notare l’etnico e singolare assolo di mandolino di Alex Lifeson, molto bello ed azzeccato.
The Larger Bowl è un brano semiacustico molto d’effetto e particolarmente curato. Il testo è molto toccante e parla di sensazioni e stati d’animo molto personali di Neil Peart durante un viaggio di alcuni anni fa in India (terra piena di mistero e spiritualità, molto amata dal batterista). Spindrift è forse la traccia più cupa e oscura dell’intero album (che al contrario è caratterizzato da melodie molto solari e “ariose”) ed è forse l’unico brano che a livello di soluzioni sonore e di arrangiamenti si riallaccia al precedente Vapor Trails. Grande prova dietro il microfono da parte di Geddy Lee che riesce a modulare perfettamente la propria voce su tonalità parecchio alte.
E finalmente arriviamo alla prima delle tre strumentali della band: la bellissima e complessissima The Main Monkey Business, traccia di rara bellezza intrisa da tecnicismi veramente impressionanti. Dal punto di vista della melodia, il brano in alcuni punti ricorda vagamente alcune soluzioni sonore utilizzate dai Goblin, ma con un tocco leggermente più etnico; mentre la sezione ritmica impressionante di Neil Peart fa tornare alla mente alcuni suoni utilizzati da Danny Carey nei Tool (cordiera del rullante rilasciata e di conseguenza suono del tamburo più sordo rispetto al normale). Un brano fantastico che rimarrà negli annali della band come capolavoro assoluto. Con la successiva The Way The Wind Blows si torna indietro nel tempo, agli anni ’70 dove band come Led Zeppelin e Kansas dominavano il mercato discografico.
La parte iniziale del brano, ma anche tutta la parte centrale del solo di Lifeson, infatti ricordano molto da vicino le sonorità delle grandi band sopracitate, mentre il riff successivo, certamente più moderno ed attuale fa tornare in mente soluzioni già sentite in brani di Counterparts tipo Cut To The Chase.
La country strumentale successiva Hope funge da toccasana per le orecchie dell’ascoltatore, bombardato da così tanta complessità sonora come la prima parte del Cd. Per la cronaca, il brano in questione è stato composto dal Lerxt Lifeson, il figlio di Alex.
Faithless è un altro brano che a me piace molto, sia per la cura dei suoni e degli arrangiamenti, sia per il messaggio religioso e molto profondo che il brano trasmette. Penso proprio che possa essere preso come riferimento da molte band alle prime armi che sono alla ricerca della perfezione sonora ed emotiva in un brano.
Bravest Face utilizza soluzioni (soprattutto di chitarra) molto originali e in alcuni punti la batteria di Neil Peart sembra quasi jazzata e capace di alternare passaggi quasi accennati, rispetto a sezioni in cui il volume dei tamburi si amplifica a dismisura. Good New First prosegue invece il cammino di album come Roll The Bones e Test For Echo, poiché molte sonorità di alcuni estratti di questi due cd (tra cui Limbo e Roll The Bones) le ritroviamo in questo brano molto coinvolgente e splendido dal punto di vista della melodia. La terza strumentale di Snakes&Arrows, Malignant Narcisissm è un altro capolavoro incredibile di tecnica e buon gusto.
In soli due minuti e diciassette secondi i Rush fanno capire, per chi non l’avesse ancora inteso, di che pasta sono fatti e ascoltando la traccia, quasi ti lascia l’amaro in bocca poiché vorresti che non finisse mai. Un brano pazzesco che ricorda un po’ YYZ, ma con sonorità e prospettive assolutamente attuali e moderne. Il suono di basso di Geddy Lee è quanto di meglio si possa tirar fuori da questo strumento e la tecnica da lui utilizzata (con l’alternanza di dita, unghie della mano destra che pizzica le corde) sono uniche nel suo genere e immediatamente riconoscibili. Basso e batteria si rincorrono durante tutta la parte finale del brano che termina con uno slide di basso veramente d’effetto. Emozione unica!
L’ultima traccia We Hold On è la degna conclusione di un album di pregevole fattura in cui Alex Lifeson utilizza riff e armonici di chitarra decisamente pregevoli.
Per finire, cosa dire di Snakes&Arrows se non che è un grandissimo album, forse non proprio immediato, nonostante quello che all’inizio potrebbe sembrare.
E’ un disco che va analizzato e scoperto pian piano e sicuramente per apprezzarlo appieno, bisogna passarlo parecchie volte in rassegna nel proprio lettore Cd. Certamente non fa dell’originalità il proprio punto di forza, anche perché durante l’ascolto, si ritrovano parecchi rimandi ad album precedenti della band, ma è comunque un prodotto eccellente con una produzione superba e questo a noi basta per poter consacrare Snakes&Arrows come nuovo capitolo fondamentale della storia dei Rush e del prog rock mondiale.
Il 23 Ottobre non è poi così lontano…