A distanza di quattro anni dal predecessore “The Mediator Between Head And Hands Must Be The Heart”, tornano sulle scene i Sepultura, i quali rimangono uno dei gruppi più famosi e più discussi del Brasile, nonostante siano stati etichettati più volte come gruppo finito dopo la pubblicazione del particolarmente controverso “Roots”, dato alle stampe quasi 21 anni fa.
In questo lasso di tempo, tra alti e bassi, i Sepultura hanno sperimentato più volte una fusione tra thrash/death metal degli esordi, sonorità più moderne, ritmi tribali ed echi di musica etnica qua e là.
In questo senso, il nuovo “Machine Messiah” non si discosta molto dalle ultime uscite discografiche del quartetto di Sao Paulo, ma, cosa che ci sorprende in positivo, risulta molto più coinvolgente, e in perfetto equilibrio fra pesantezza, dinamismo e melodie. Se l’opener “Machine Messiah” risulta essere un brano piuttosto cadenzato, i brasiliani spingono decisamente sull’acceleratore con l’ottima “I Am The Enemy“, per poi sposare influenze di musica araba nella seguente “Phantom Self“, senza però abbassare il tiro.
Il disco si mantiene interamente su ottimi livelli, tra il groove epicheggiante di “Resistant Parasites” e le partiture complesse di “Alethea“, fino ad arrivare alla tiratissima “Vandals Nest“, che non dovrebbe lasciare delusi nemmeno i fans della prima ora. In effetti, è difficile trovare evidenti difetti in questo “Machine Messiah”, e, se si è amanti del genere, improbabile non rimanerne positivamente colpiti.
Forse a caldo certe conclusioni possono apparire affrettate, ma nei tre quarti d’ora di durata di questo disco, i Sepultura probabilmente hanno confezionato il loro miglior lavoro da 25 anni a questa parte.