Uno degli aspetti più interessanti che contraddistinguono una band è senz’altro il luogo d’origine: oltre alle esperienze di vita, anche un posto chiuso tra le montagne o sperso nella vastità delle pianure può influire sulla psiche dei songwriters che, se scaltri, possono trarne il vantaggio dovuto…
Prendiamo questi Tramortiria, per esempio; vengono da un paesino dell’alto Piemonte e sviscerano tutta la rabbia che certi luoghi riescono a scaturirti (vivendoci, so cosa vuol dire)! E allora, qual migliore palinsesto se non un disco per sputare ettolitri di veleno rabbioso? La band debutta sotto SG Records dopo un paio di demo alle spalle, dimostrando che gli act emergenti hanno poco o nulla da invidiare a quelli più blasonati.
Il sound dei Tramortiria è difficilmente collocabile…thrash, death, bay area e modern death metal si uniscono in un banchetto sonoro che vi spaccherà le gambe ma vi lascerà piacevolmente ‘tramortiti’ (scusate il gioco di parole). A livello tecnico, la scelta di utilizzare suoni secchi e aridi riesce a immortalare la fotografia disturbata della band di mastermind Tony De Marco, dove il merge devastante di batteria (Simone Bosi impressionante!) e basso (nel cd le parti sono state suonate dallo stesso Tony De Marco e da Tino Puglisi) si unisce al graffiante lavoro delle chitarre e alla voce aggressiva che sembra uscita direttamente dallo stomaco. La produzione, affidata a Danny Giordana (anche se coaudiuvata dalla band stessa), asperge le undici tracce di professionalità e potenza, cosa che si denota particolarmente nell’ascolto via cuffie.
Non c’è respiro: da “Dust” a “Enigma” è un alternarsi di violenza e cattiveria, di grind beats e midtempos serrati; “Earth Attack”, “World Of Fashon” e “Bloodbuster” sono solo degli esempi delle capacità ipnotico/crudeli della band, dove capitoli come “Morrow” e “Deep Forest Night” vanno a rappresentare degli highlight invidiabili.
Preparatevi: i Tramortiria si candidano ad essere una delle band rivelazione di questo 2012, e siamo solo a gennaio! Uno spaccato di musica che non stabilisce confini ma che, paradossalmente, li allarga a perdita d’occhio! Che pakka!