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TAAKE + HELHEIM + VULTURE INDUSTRIES

31 ottobre. In questa data da oramai un bel po’ di annetti anche in Italia viene celebrata la festività di Halloween. Per risalire alle vere origini di questa iperamericanizzata cadenza dobbiamo tornare in Europa e indietro nel tempo, risalendo addirittura al calendario celtico. Nel periodo di /i> Samonios (che si apriva proprio il 31 ottobre) ogni barriera o vincolo poteva essere abbattuto, a livello socio-comportamentale ma non solo, si pensava che durante quel periodo ci fosse la possibilità di comunicare con i trapassati allo scopo di ottenere segreti e saggezza.
Una storia a dir poco suggestiva che riesce ad immergerci al punto giusto al concerto di oggi che vede come headliner i norvegesi Taake , a mio avviso uno degli unici, o forse addirittura il solo gruppo della seconda (o terza, dipende da come la si vede) ondata black metal capace di portare in alto la bandiera del genere nero per eccellenza, riuscendo a mantenere intatte e vibranti le sensazioni ed il pathos glaciale delle bands che di questa corrente hanno fatto la storia.

Purtroppo anche ad Halloween a noi ci tocca lavorare e ci perdiamo buona parte della calata italica del Dark Essence Tour , portato in Italia, precisamente al Carlito’s Way di Retorbido (PV), da Nihil productions che per l’occasione ha rimpolpato il bill, composto originariamente da Taake , Helheim , Vulture Industries e Sulphur , con realtà più o meno affermate del panorama italiano quali The True Endless , Adversam e Fornace . Chiediamo scusa a tutti i gruppi che hanno suonato prima ma al nostro arrivo stanno per calcare il palco i Vulture Industries .

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Definiti da molti come dei cloni degli Arcturus, soprattutto per la voce del singer Bjornar Nielsen che su disco assomiglia tantissimo a quella di Garm, in realtà si differenziano molto dal meraviglioso e mai troppo compianto (per ora) sestetto astrale, per una struttura molto più semplice e canonica dei brani (almeno nel primo full-lenght The Dystopia journals) che comunque riescono a cogliere nel segno grazie a melodie vincenti inserite in un contesto meno avanguardistico ma comunque pregno di un fascino straniante.
I cinque si presentano sul palco vestiti in camicia bianca e con un cappio, simbolo della band, che ballerà per il palco (e non solo) per tutta la durata del concerto.
La prima cosa che mi colpisce è l’assenza di un tastierista che li supporti in sede live, tutte le parti di tastiera sono infatti affidate a campionamenti. Poco male comunque, la band se ne esce con una prestazione di tutto rispetto, riuscendo nonostante il genere non sia proprio affine al tema della serata, a coinvolgere la gente, non molta a dire il vero, sotto al palco; mentre molti blackster duri e puri preferiscono starsene fuori a prendersi la pioggia…contenti loro…
La band comincia col primo brano dall’ultimo disco Race of the Gallows per poi passare alla doppietta Blood Don’t Flow Streamlined e Pills of conformity che danno la giusta impennata allo show. Tecnicamente il gruppo suona pulito e ordinato, i suoni ci sono e la presenza scenica pure. La voce di Bjornar a dire il vero dal vivo perde un po’, si capisce che tecnicamente tra lui e Garm vi è un abisso, ma le ottime capacità interpretative e il carisma del singer riescono a sopperire bene alla mancanza. Le canzoni sono estratte in modo bilanciato da tutti e due gli album, ricordiamo The Hangman’s Hatch , The Bolted Door e la conclusiva A Path of Infamy . Bel concerto!

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Viene ora il turno degli a me fino a stasera sconosciuti Helheim . La band nella classica formazione a quattro si presenta più battagliera che mai, tutta in divisa di maglia di ferro, a parte il batterista che, poveretto, viene lasciato libero di muoversi senza pesi aggiuntivi da Genio delle tartarughe.
I quattro, tra i quali spicca Orjan Nordvik, (bassista anche nei Taake che qui si divide anche il microfono con uno dei chitarristi) attaccano subito convinti e decisi con un assalto black/viking vicino ai primi Enslaved, con meno pathos e talento ma più aggressività. Inoltre il gruppo sfrutta a fondo l’opportunità del Carlito’s di proiettare filmati sullo sfondo del palco: navi vichinghe, battaglie, orgoglio e tanto fuoco così da sfondo alle canzoni del combo contestualizzandole nella mente di ogni ascoltatore nella giusta direzione. Nonostante la band non si discosti di molto dagli stilemi del genere la apprezziamo per alcune (anche se rare) finezze strumentali che contribuiscono a dire dinamismo ai brani. Ottime le prove del chitarrista Noralf Venas (che entra subito nei nostri cuori perchè ci ricorda tanto Vialli ai tempi della Samp coi capelli più lunghi) e del drummer Frode Rodsjo, qualcosa in più della solita macchinetta macina blast-beat. Prima della fine del concerto durante un brano ha luogo l’ospitata dell’incappucciato e controverso Hoest a cantare una parte in pulito che, fortuna nostra, non userà mai durante lo suo show della sua band.

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Il tempo di una pausa sigaretta e al nostro ritorno l’aerea antestante il palco è gremita da una folla in attesa trepidante: tutti pitturati e incazzosi i Taake entrano sul palco ad uno ad uno con un entrata da star, gelidi senza salutare o muovere incitamento alcuno. Si comincia a suonare ed ecco salire sul palco anche Hoest più carico e irriverente che mai, truccato in un modo che farebbe paura pure a sua madre, con tanto di lenti per rendere lo sguardo ancora più bastardo, come se non bastasse quello che già ha di suo. Purtroppo durante la prima canzone le chitarre si intuiscono a malapena, ma con la successiva Ummenneske tutto va a posto e, almeno fuori dal palco, i suoni risultano perfetti per un gruppo come i Taake: chitarre in primo piano e con molti alti e basso e batteria puliti e ben bilanciati, una goduria. Seghe mentali personali a parte, Ummenneske, dall’ultimo Taake, tira fuori il lato più rock’n’roll (e Carpathian forest se vogliamo) della band, scatenando subito il putiferio nelle prime file, con un Hoest letteralmente indemoniato che urla, tira calci in aria a destra e a manca e tiene il palco alla grande scambiandosi di continuo energia positiva (si avete letto bene, evviva!) col pubblico a suon di schiaffoni, sonori e non. Il già nominato bassista Orjan non ha più la responsabilità del microfono e con i Taake si lascia andare caricando la folla almeno quanto il leader e cantando ogni canzone a squarciagola; il resto del gruppo invece fa il suo rimanendo sempre un po’ in ombra, soprattutto le chitarre, una in particolare, alla quale vediamo un ragazzetto forse poco più che maggiorenne, che ci pare totalmente decontestualizzato, per niente coinvolto, così timido, o imbambolato, che a volte Hoest deve parlare al posto suo al fonico per problemi in spia. Aggiungiamo che non stiamo parlando affatto di un mostro delle sei corde, una scelta quantomeno misteriosa. Va beh, ma a noi, che minchia ce ne frega! La band spacca il culo che è un piacere, marciano sulle nostre orecchie i riff e le melodie di Doedskvad I, II e III che vanno ad unire il gelido marciume dei Darkhtrone, le cavalcate melodiche dei Satyricon che furono e la sporca irriverenza dei Carpathian Forest. Hoest non si ferma un attimo, alza la bandiera norvegese (con la croce rivolta verso il basso ovviamente) riproduce il simbolo della T, e diciamola tutta, si diverta a fare il poser con atteggiamenti anche al limite del goliardico che fanno solo del bene a questo genere e allo stesso tempo contrastano non poco con l’immagine che mi ero fatto del personaggio. C’è spazio anche per qualche brano proveniente probabilmente da qualche ep o split che non vi cito per ignoranza. Tempo del gran finale con l’immancabile e attesa da tutti Nattestid pt.I, che fila come un treno tra le mazzate sotto il palco e un riffing di un’epicità come pochi altri. A cantare le parti in pulito sale ancora Bjornar Nielsen, singer dei Vulture Industries, con lo stesso cappuccio che aveva utilizzato Hoest e l’immancabile cappio vaga sul palco spensierato e ubriaco mimando gesti da Batman e sollevando il singer a oltranza che ne approfitta mostrare al pubblico la bandiera norvegese nella sua interezza, un grande! Alla fine del concerto, non so se per un taglio di scaletta o che altro, Hoest prima di congedarsi guarda la folla e esclama un bellissimo:”Eccheccazzo!” in perfetto italiano e la serata volge al termine.
Tornando a casa anche la mia auto ha dei contatti con i trapassati, gli spiriti della Uno Fire e della Panda Young si impossessano di lei buona parte del viaggio ma alla fine a casa ci arriviamo, felici e soddisfatti da una bella serata, contenti anche del fatto che Nihil abbia finalmente trovato una location veramente adatta per concerti di spessore come quello di questa sera.