Ci sono band che riescono a rinascere e a vivere una seconda giovinezza: quando hai più di trent’anni di carriera alle spalle credo sia difficile trovare la forza di creare nuovi capitoli che possano tener stretti i fans e accaparrarsene di novelli. Molto risiederà anche nel marketing che ha fatto di un nome una garanzia, ma come diceva il grande Renzo Montagnani: “La frittata è sempre una frittata, l’importante è che alla base vi siano le uova”.
E gli Accept sono uno dei più fulgidi esempi di come una seconda giovinezza possa essere gratificante agli stessi livelli (se non superiori) della prima. Da quando avvenne la reunion, si parla di qualche annetto fa, il duo Frank/Hoffman ha iniziato a rinverdire e a estrarre dal cappello delle idee che hanno forgiato un come back come “Blood Of The Nations”, caratterizzato dall’avvento di un animale come Mike Tornillo dietro al microfono e da un tour che li ha visti osannati in ogni parte del globo. “Stalingrad” esce a breve distanza e si pone nell’ottica di continuare a veleggiare verso i lidi che hanno reso gli Accept una band planetaria.
In consolle troviamo Andy Sneap, capace di estrarre da queste dieci tracce la potenza metallozza tipica del genere e la personalità forte di ciascun componente (punto non facile, quest’ultimo). Il sound è grezzo e graffiante, con un binomio drum/bass davvero imponente; le asce, come sempre, la fanno da padrone tra ritmiche solide, melodie rampicanti e soli pregevoli in grado di non stancare mai. Il songwriting punta l’attenzione, a fasi alterne, o sulla velocità o sulla spinta che i mid tempos epici danno all’ascoltatore. Le performance sono di tutto rispetto, specie quelle di mr. Tornillo alla voce (graffiante, alta e al 99% incazzata) e del ‘teutonico’ Stefan Schwarzmann dietro alle pelli, capace di rendere personale anche la più semplice struttura metal.
“Hung, Drawn And Quartered”, “Hellfire”, “The Quick And The Dead” prendono l’ascoltatore e lo gonfiano di sferzate metalliche dalla prima all’ultima nota, complice la venatura ‘speedy’ delle strutture; ”Stalingrad” spacca per marzialità, “Shadow Soldiers” impone chorus e refrain possenti mentre il duo “Against The World” e “Twist Of Fate” rappresenta il momento più ricercato e ‘evolutivo’ di tutto il platter. “The Galley” in chiusura fa storcere un po’ il naso e le restanti sono dei modestissimi riempitivi che non sfigurano.
Non ho mai amato tanto gli Accept finchè non hanno sfornato “Blood Of The Nations”. Sii dice che i vecchi dischi non vengano mai superati da quelli successivi: cazzate. L’animo di un artista non muore mai e trova la capacità di evolversi e ricreare se stesso. Grandi Accept…un disco per tutti.