L’American way del progressive, accanto a giganti del calibro di
Queensryche, Fates Warning e Crimson Glory, ha prodotto un nugolo di realtà
minori, al giorno d’oggi vive nella memoria dei cultori di quei suoni e di
fatto lontane dalla scene almeno dai primi anni ’90. I Leviathan, pur figli di
quella scena, sono arrivati a dire il vero solo a fine anni ’80, quando il
progressive si stava staccando dalle sue connotazioni visceralmente heavy, per
fare ingresso in un reame di suoni più eleganti, affettati, spesso cerebrali. Il 2010 segna il ritorno all’attività live del
combo del Colorado, mentre nel 2011 arriva il quarto disco, opera ponderosa e
raffinata, incastonata nell’alveo nel progressive moderno in forza dei suoi
elaborati arabeschi sonori e di una propensione a elucubrazioni ritmiche per
nulla immediate.
Ogni tassello del puzzle suona rifinito e studiato nel dettaglio, i
singoli passaggi vengono affrontati con accortezza e ponderazione, affinché ci
sia sempre il massimo controllo del flusso di note e non ci siano stacchi
troppo bruschi all’interno delle canzoni. Il comando delle operazioni è
delegato alla chitarra robusta di John Lutzow, che sciorina un riffing
coriaceo, molto corposo, spesso in duetto con le tastiere, quest’ultime dalla
resa piuttosto dolce, ben amalgamate con gli altri strumenti e che col loro
inserimento danno ariosità e leggerezza ai pezzi. La sezione ritmica non si
limita ad assecondare le chitarre (in studio c’è anche il contributo di una
seconda ascia) ma riesce a iniettare compattezza e una discreta versatilità alle
composizioni, generalmente sviluppate su tempi medi intrisi di arrangiamenti
ricchi e che necessitano di un po’ di pazienza per essere apprezzati al meglio.
L’estrema pulizia delle note non viene contrastata dall’ugola di Jeff Ward,
impostata su tonalità medio-alte e dalla buona resa anche nelle parti soffuse,
nelle quali ricrea una dimensione di grande tranquillità e serenità.
Per tutta la durata dell’album permane un affascinante gioco di
contrasti tra durezza metallica e ricerca di soluzioni alte, leggiadre e il più
possibile personali. La diffusa mancanza di parti di facile assimilazione e di
sfuriate metalliche propriamente dette limita leggermente la portata dell’album,
che pur non cadendo nel manierismo e nell’autocompiacimento di certo prog poco
ispirato avrebbe giovato di qualche parte più d’impatto; i Leviathan a tratti
suonano troppo perfettini, l’impressione è che qualche tastiera in meno e
alcune accelerazioni in più avrebbero reso “At Long Last, Progress Stopped To
Follow” ancora più interessante. Ad ogni modo, ci troviamo di fronte a una
release di ottimo progressive metal, chi mastica il genere non dovrebbe
rimanerne deluso.