E’ incredibile come siano cambiate le domande nel corso del tempo…anni indietro, all’uscita di un disco, la domanda era esplicitamente ‘Piacerà? Suonerà bene?’…oggi invece è diventata ‘Venderà un po’ di più?’; la ‘speranza’ di una band era legata alla qualità prima che ai dati di vendita, mentre oggi sono questi ultimi espressamente a fungere da giudice sadico…
Ma in sede di recensione preferisco sempre attenermi alla musica…tocca a una delle band che prediligo, gli Orphaned Land. Diventati ormai un grande nome del panorama metal (basti vedere l’etichetta che li produce da quasi un decennio), Kobi Fahri e soci rappresentano un esempio di come il luogo d’origine, per quanto ‘difficile’ sia, possa rappresentare la carta vincente da giocare. Da sempre debitori verso il folk mediorientale, con questo nuovo “All Is One” cercano di portare il baricentro verso universi più commerciali ed accessibili. Il death metal delle origini compare sempre meno, così come il growl è presente in rari casi, e i raddoppi di tempo e le doppiacassate lasciano spazio a strutture più ariose e libere, favorendo (in un certo senso) la melodia.
Se “The NeverEnding Way Of Warrior” aveva in parte staccato il cordone ombelicale dal sound originale, con “All Is One” la band israeliana sembra completamente diversa da quella di “Mabool”, che nove anni fa stupì il mondo…la produzione è cristallina e più omogenea, il songwriting viene investito da un maggior numero di innesti coral/orchestrali abbinandosi all’utilizzo (sempre ricco di gusto) di strumenti etnici, mentre a livello di suoni ci troviamo al cospetto di un disco dal grande pathos emotivo. Le performance sono brillanti ed energiche, dove a risplendere ci pensa un eccelso Kobi Fahri qui impegnato in melodie vocali più impegnative rispetto al passato (e dotando di un’interpretazione teatrale ogni singolo testo). L’artwork di copertina è spudoratamente semplice (e mi fermo qui).
Tracks come l’opener “All Is One” o la successiva “The Simple Man” esemplificano a chiare lettere come il percorso della band si sia maggiormente linearizzato (anche se gli arrangiamenti sono tutt’altro che diretti). “Brother” è una canzone che, presentata da una band blasonata a livello mondiale, avrebbe tutte le fattezze del singolone radio…”Through Fire And Water” e la successiva “Fail” faranno felici i vecchi fans, mentre con “Let The Truce Be Known” e “Freedom” ci troviamo al massimo picco di ispirazione della band di Pehta Tikva…avvincenti anche le conclusive “Our Own Messiah” e “Children”, che chiudono l’album in maniera impeccabile.
“All Is One” susciterà molte critiche credo, tuttavia gli Orphaned Land non rappresentano una band che si lascia condizionare da cosa sarebbe giusto e cosa non lo sarebbe. Un disco completo, fatto con cura e cuore come sempre, che mantiene viva quella magia che ormai da vent’anni gira per il mondo.