Strano ma vero, ma molte metal band stanno invecchiando…niente di strano, è il normale corso vitale, tuttavia non par vero che certi act (specialmente quelli ‘pesanti’, come si diceva anni fa) abbiano passato la cinquantina o la sessantina e siano ancora capaci di imporsi sul mercato. Il vero paradosso, se vogliamo, è constatabile dall’energia che ancora possiedono ed esprimono attraverso il pentagramma. Un esempio sono i Testament…la carriera di una delle band seminali della scena Bay Area ha seguito un andamento sinusoidale specialmente nel primo decennio del nuovo millennio, subendo numerose variazioni di line up e faticando a trovare un modo di espressione che fosse convincente come ai tempi d’oro…da “Dark Roots Of Earth” il songwriting ha ripreso a germogliare e la testimonianza più tangibile si trova in questo nuovissimo “Brotherhood Of The Snake”, un supporato nervoso e arrabbiato tra vecchia scuola e visione moderna. Scritto quasi interamente dal duo Peterson/Billy, il nuovo lavoro verte su un concept non certamente innovativo (il dominio mondiale da parte di una ‘fratellanza’) ma che si permea inscindibilmente con le strutture.
La produzione è aggressiva e micidiale, costruita ad hoc per sorreggere il messaggio di disagio e protesta…i suoni sono taglienti come coltelli, dominati solamente da un mastering ossessionante, mentre le performance costruiscono un muro sonoro incrollabile davanti al quale ogni metalhead che si rispetti impatterebbe inesorabilmente. Sopra a tutti la fanno da padrone le ritmiche di mr. Peterson e il carro armato Gene Hoglan, ma è interessante constatare anche lo stato di buona salute della voce del buon Chuck e dei solismi di mr. Skolnick…Sedetevi su una poltrona e mettetevi comodi perché “Brotherhood Of The Snake” è un nodo scorsoio che non vi darà pace…la titletrack, “Stronghold”, “Born In A Rut” e “The Number Game” vi arriveranno sul collo con una ferocia inarrestabile, facendovi tremare le gambe e annebbiandovi i sensi…”The Pale King” e “Seven Seals” abbassano leggermente la tensione ma sapranno catturarvi al primo ascolto grazie ai cori facili e all’incedere monolitico mentre “Neptune’s Spear” e “Centuries Of Suffering” esemplificano una modernizzazione del sound che non stona affatto. Le sole “Black Jack” e “Canna-Business” appaiono leggermente sotto l’eccellenza, ma si tratta comunque di brani con le palle fumanti.
“Brotherhood Of The Snake” traghetta i Testament verso il trentennale con veemenza e convinzione, finendo per essere un disco che può appassionare anche i non adepti al genere…non saranno più dei giovanotti ma sicuramente in molti invidieranno il loro status di maturazione. Vincenti.