Credo che dopo molti anni passati nel business musicale, sia ad alto livello che nell’underground, un musicista necessiti di intraprendere un progetto che lo appaghi totalmente; è vero che qualsiasi genere può essere suonato da un professionista ma ognuno riserva nel cuore un angolo speciale per la musica preferita e che man mano che si invecchia ci si debba fare i conti.
I Badge questi conti li hanno fatti, a loro modo…i tre musicisti vantano esperienze invidiabili in tutto il mondo, arrivando anche ad essere parte della scena newyorkese, e tutte queste vengono inserite in quel minimo comune multiplo che è “If It Hurts It Must Be Good”…amante del blues rock più tradizionale, il trio di svedesoni unisce qualche soluzione hard rock, progressive, country e un insieme di arrangiamenti discordanti che dopo una moltitudine di ascolti si rivelano efficaci.
La produzione è scarna ed essenziale, mirata a creare maggior confusione di quella che potrebbe esserci naturalmente; i suoni sono lasciati a sé, senza troppa profusione nell’assemblarli, mentre le performance mostrano un act dedito a far rendere le strutture disallineate con il maggior groove possibile. Mixing e mastering, vere stars di questo disco, provano a mettere ordine per renderlo adatto all’ascolto.
Non è possibile fare un song by song tipico, dato l’andamento sinusoidale del disco…”Reap What You Sow”, “Trapdoor” e “Step Aside” sono forse i capitoli più accessibili, mentre con “The Game”, “In The Eye Of The Storm” e “Mapped Out Trail” il delirio diventerà assillante. “Traitor” è skippabile sotto ogni punto di vista mentre le malferme “We Will See The Light” e “Yet To Come” non aggiungono alcunché all’insieme.
In conclusione, “If It Hurts It Must Be Good” è una sfida al vostro palato musicale e alla sensibilità del vostro cervello….se accettarla o meno, dipende da voi; coraggiosi, certamente, tuttavia non del tutto convincenti e irrinunciabili.