Janis Joplin è rimasta nel cuore del rock per diversi motivi: fu una incredibile cantante con una voce graffiante e grintosa, morì a 27 anni per una overdose dando il via alla cosiddetta “maledizione del 27”, fu una delle grandi donne che iniziarono e portarono avanti la rivoluzione sessuale dal punto di vista delle donne.. Ma c’è un ma.
Janis era sfrontata, graffiante, sexy e provocatoria, al punto da essere una delle icone femministe del periodo. Poteva avere qualsiasi uomo volesse, si dice che addirittura Jim Morrison fece una notevole litigata con la sua fidanzata perchè lui, pienamente alcolizzato, spinse la testa di Janis mimando un gesto non propriamente elegante. E qui subentra un nuovo ma: ma mancava qualcosa.
Infatti Janis, la ribelle, se ne andò in lacrime profondamente offesa da quel gesto sessualmente esplicito.
Janis incarnava perfettamente la donna selvaggia, il graffio di una donna non propriamente bella, non “dentro i canoni”, che poteva avere chiunque ma che non riusciva ad essere amata veramente da nessuno.
Janis catturava con la sua voce, coi suoi comportamenti.. quei comportamenti in grado di attrarre e repellere allo stesso tempo.
Diventava l’oggetto del desiderio sessuale di svariate persone e celebrità ma mai l’oggetto d’amore incondizionato, quell’amore platonico che pareva essere alla base della rivoluzione sessuale: Janis non era niente altro che la spia di uno degli allarmi dell’amore libero, ovvero che quando tutto è alla portata di mano dopo molto tempo che è stato represso, nulla diventa più profondo. Non quanto vorremmo.
Having Sex with your Oppressor
Che momento strano, gli anni 60, per dichiarare al mondo che noi donne abbiamo sentimenti anche uguali a quelli degli uomini, che possiamo sentirci eccitate, attratte sessualmente ma non sentimentalmente, che possiamo fare ciò che vogliamo con il nostro corpo e così via.
Strano perchè nel momento in cui il femminismo rilancia un diritto, la psiche esige un dovere.
In una società fortemente incanalata e restringente, la libertà immediata e totale manda allo sbando e gioca brutti scherzi alle regole “morali” intrinseche nella persona: fare sesso diventa talmente un modo per urlare al mondo la propria libertà che lo si fa quasi, ancora una volta, per dovere.
Fare sesso con gli uomini diventa quindi una decisione propria e svincolata di avere un rapporto con il sesso che incarna “l’oppressore”.
Molte donne instaurano quindi rapporti omosessuali al fine di ottenere una libertà totale e svincolante da ciò che fino a quel momento ha significato per molte una violenza costante e continua, sia fisica che psichica.
Il mondo urla che noi donne siamo uguali e quindi possiamo anche non dover amare per forza.
Ma queste urla si fanno forti e fanno tremare le fondamenta.
La positività di una liberazione dalle “catene” mentali rende però ben presto un sapore amaro in una società non ancora pronta ad assaporare una libertà senza incasellamenti: il rapporto con un uomo si trasforma non più in qualcosa che può non esserci, ma, in coloro che più ne hanno sofferto in precedenza, che non deve esserci.
Nascono quindi movimenti in evidente controtendenza con tutto ciò che si sta richiedendo: da un lato si richiede libertà sessuale, dall’altra che le donne non siano trattate come oggetto e, per quanto giuste siano entrambe, un bambino non impara subito a correre.
Nasce il movimento anti-pornografia, uno dei tanti movimenti-emblema di una società che esce da un sistema stretto e arcaico senza tuttavia avere ancora tutti gli strumenti per una società funzionante agli occhi del popolo. Il 1968 diventa non solo l’anno delle libertà, ma anche l’anno in cui sperimenta cosa voglia dire libertà nelle sue accezioni più difficili da accettare: contraddizione, violenza, prevaricazione.
L’ambivalenza tra volere e amare
Janis fu risucchiata inconsapevolmente nel vortice dell’ambivalenza amorosa.
Da un lato, Janis, rivendicava il diritto di essere amata, di non trovarsi sola la mattina dopo di uno spettacolo. Dall’altro, invece, rivendicava il diritto di essere libera, selvaggia, aggressiva.
Per Janis la costrizione morale non fu solo figlia del suo sesso nell’epoca delle rivoluzioni, Janis usciva da una costrizione fisica che aveva anche il sapore del riscatto. Janis era infatti una adolescente sovrappeso con problemi di acne quando fuggì da casa sua per unirsi alle comuni Hippie.
Questa costrizione fisica le lasciò le cicatrici morali di un ego non ben costruito, a tratti maniacale, e le cicatrici fisiche che le ricordavano quanto la sua identità fosse stata minata: le cicatrici in volto e quel volto un po’ paffuto sempre nascosto dai grossi occhiali o dai capelli lunghi erano il memento costante di quanto lei dovesse riscattarsi.
Janis stessa era solita dire, dopo i concerti, di sentirsi come se avesse fatto l’amore con ognuno degli spettatori del pubblico… ma sempre e comunque tornando a casa sola.
“Dio, la vita non è proprio altro che solitudine, malgrado tutti gli oppiacei, malgrado la stridula, posticcia allegria delle “feste”; nonostante tutte le facce sorridenti che ci troviamo ad indossare.
E quando alla fine trovi qualcuno a cui senti di poter affidare la tua anima, ti fermi nello shock delle parole che proferisci – sono così arrugginite, così brutte, così inutili e flebili a causa del fatto che hanno dormito nel piccolo e soffocante buio dentro di te per così tanto. Sì, c’è gioia, pienezza e compagnia – ma la solitudine dell’anima nella sua spaventosa autoconsapevolezza è terribile e soverchiante.”
Sylvia Plath
Il volto bipolare di Janis
Lo spettro bipolare negli artisti del mondo del rock è spesso presente. Si evidenzia con periodi maniacali dove ci si sente invincibili, geniali ed estremamente creativi (a volte anche con un chiaro distacco dalla realtà) a cui seguono dei momenti di “down”, di depressione cupa e logorante.
Da cosa nasce un disturbo bipolare? I fattori da prendere in considerazione sono davvero molti, ma noi oggi ne vedremo solo uno nello specifico: la famiglia.
E’ stato evidenziato che il disturbo bipolare ha una alta correlazione con uno stile di attaccamento infantile (cioè il rapporto che il bambino ha con chi si prende cura di lui) di tipo insicuro evitante.
Non si sa molto della famiglia di Janis, se non che provenisse da una cittadina bigotta del Texas che ha sempre mantenuto un rapporto di amore e odio nella mente dell’artista. Janis, tuttavia, lasciò una lettera densa di sensi di colpa quando se ne andò via di casa, senza mai tagliare del tutto i ponti.
Janis odiava quel posto che l’ha bullizzata per anni, rendendole la vita un inferno spaccato tra il desiderio di riscatto e il desiderio di allontanamento. Come un bambino che, ogni volta che cerca conforto tra le braccia della madre o chi per essa, viene allontanato o respinto fino ad arrivare a “farne a meno”. Ed è così che Janis torna in Texas, non si sa bene perché avesse accettato di ritrovare i vecchi compagni, gli stessi “stronzi” che la etichettavano come “cagna”, o ,peggio, “maiale”. Sembrava quasi un modo per assicurarsi che sì, aveva fatto bene a lasciare quel posto orribile, doveva bastare a sé stessa perché nessuno ci sarebbe stato per lei. Difatti a risuonare nella sua anima non era la presenza di mille adoranti fans, ma del singolo che, viceversa, la rifiutava.
Questo dolore costante divenne come una ricerca spasmodica del “me l’aspettavo”, ogni relazione sembra essere lì, pronta ad aspettare che qualcuno la faccia cadere a pezzi. E il suo comportamento aggressivo, continuamente in mutamento a causa anche delle droghe pesanti, rende semplice che ciò avvenga.
Janis diventa cattiva a sua volta, se qualcuno non la lascia a pezzi, allora sarà lei a fare a pezzi quella persona: comincia a ledere in modo turbolento (e quasi bullizzante) le persone che, vicino a lei, la fanno brillare “meno”. E’ il caso del suo chitarrista, del suo primo manager e così via.
Un mese dopo il suo ritorno in Texas Janis non c’è più, ancora una volta sola dopo che l’ultimo uomo se ne era andato perché lei non gli aveva comprato delle “cose”.
Janis è morta per un overdose di eroina a 27 anni, ancora una volta sola.
E’ stato un mix inconsapevolmente letale? è stata la droga tagliata male? Ne ha accidentalmente assunta “in più”? o ha cercato di addormentarsi dimenticandosi ulteriori ferite?
Il sintomo del decesso è chiaro a tutti, la causa no. Perché cercare amore e trovare solo semplice ammirazione lascerebbe un buco nel cuore a chiunque. Janis pareva un vaso che urlava al mondo di voler essere rotto, spaccato, lanciato a terra con violenza, lo stesso fervore violento e meccanico che cercava nei suoi rapporti sessuali. D’altronde, chi riuscirebbe ad amare qualcuno che chiede di essere rotto? Solo qualcuno che vuole trarne beneficio, ma senza amare sul serio. Così, uno ad uno, tutti i suoi violenti partner “fissi” alzano i tacchi.
C’è chi lo chiama crepacuore, e, se spezza davvero il cuore dall’interno, alla fine porta a morirne.
BIBLIOGRAFIA
- Friedman, M. (1992).Buried alive: the biography of Janis Joplin. Three Rivers Press.
- Petrović, Novica, and Dragana Anđelić. “THE BIPOLAR LIVES OF JANIS JOPLIN AND AMY WINEHOUSE.” (2013).
- Dalton, David. Piece of my heart: a portrait of Janis Joplin. Da Capo Pr, 1991.
- Brennan K.A., Clark C.L., Shaver, P.R. (1998). Self-Report Measurement of Adult Attachment: An Integrative Overview. In J.A. Simpson, e W.S. Rholes (Ed.), Attachment theory and close relationships (pp. 46-76). Guilford Press, New York.
- Grossman K.E., Grossman K.(1991). Attachment Quality as an Organiser of Emotional and Behavioural Responses in a Longitudinal Perspective. In C.M. Parkes, J. Stevenson-Hinde e P. Marris (eds). Attachment across the Life Cycle. Routledge, London.
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Alessandra Colombo è una Psicologa iscritta all’Ordine degli Psicologi della Lombardia, Sez. A nr. 18971. Specializzatasi in Psicologia del Benessere e dell’Empowerment (laurea magistrale) presso l’Università Cattolica di Milano, ha effettuato diverse specializzazioni post-lauream inerenti l’utilizzo collaborativo di test di personalità nella clinica e nella psicoterapia.