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KAMELOT – The Shadow Theory

Ritornano dopo un periodo di tempo abbastanza lungo, circa tre anni, i Kamelot con il nuovo “The Shadow Theory”. Traguardo importante poichè la band arriva al dodicesimo album in studio, una popolarità ed un seguito sempre maggiori, e tantissime aspettative. Aspettative che forse avranno l’arduo compito di essere in questo caso un pochino troppo nette e pesanti. Terzo album per Tommy Karevik dietro il microfono, che con il suo talento e il suo carisma ha ormai definitivamente cancellato l’ombra del pur sempre rimpianto Roy Kahn. E’ lecito perciò, fatte queste premesse, aspettarsi qualcosa che lasci a bocca aperta, e stupisca sopratutto chi ha seguito da sempre la band e l’ha vista crescere in questi anni, anche a discapito di cambiamenti di line up importanti.

Il classico intro misterioso e magniloquente “The Mission” ci introduce alla prima “Phantom Divine (Shadow Empire)” che conquista immediatamente con il suo ritornello, in una canzone che cresce esponenzialmente di pathos e ritmo, per un inizio col botto.La successiva “Ravenlight” è sicuramente un buon pezzo ma non si discosta troppo in quello che il classico sound ormai marchio di fabbrica della band, anche se si percepisce proprio attraverso questo brano come Tommy sia ormai un perfetto trascinatore dietro il microfono, distogliendosi dagli inevitabili ed eccessivi paragoni come clone di Roy. “Amnesiac” risulta più originale, meno scontata ma ugualmente trascinante. “Burns to embrace” parte in maniera molto intima e dolce, salvo poi esplodere con un sound decisamente inedito per Tommy e compagni, creando un tappeto sonoro che strizza l’occhio a un power più tradizionale, lasciando inalterato il marchio Kamelot. Decisamente azzeccato e originalissimo il finale con le voci bianche in coro che cantano il ritornello.

Davvero bellissima la ballata “In Twilight Hours”, dolce ed emozionante, dove Tommy duetta con la giovanissima e brava Jennifer Haben dei lanciatissimi “Beyond the Black”. Diciamocelo, quasi impossibile che i Kamelot possano non rendere al massimo con una ballata a due voci, e qui ne abbiamo l’assoluta conferma.

“Kevlar Skin” è un buon brano in stile Kamelot, ma forse, come le prime due tracce, non rimane incisa nel profondo dell’ascoltatore.

“Static” è invece pezzo decisamente interessante, mix di melodia e pathos dove Tommy segna un’altra tacca su una prestazione impeccabile dietro il microfono.

I ritmi si fanno più serrati con l’aggressiva “Mindfall Remedy” dove l’aggressività di chitarre e batteria, sono enfatizzati da chorus growl, per una scelta che i Kamelot avevano già adottato in passato con consensi unanimi. “Stories Unheard” è invece una originalissima semi ballad che alterna pezzi molto dolci e lenti accompagnati dalla sola chitarra acustica, salvo poi crescere di ritmo, risultando poco scontata ed originale, ma non per questo meno accattivante, già al primo ascolto. Cavalcata power e speedy per “Vespertine” che si muove su coordinate mai troppo calcate dai Kamelot, almeno in questo ultimo corso dell’ultima era Roy Kahn e nuovo periodo Tommy. Un segno decisamente netto che i Kamelot non vogliono soffermarsi su uno stile riconoscibilissimo, che gli ha garantito di essere ormai una delle realtà più affermate del metal, di certo una formula si vincente, ma sempre controproducente se non si propone anche qualche nuova soluzione melodica e stilistica, riuscendo a mantenere comunque inalterato il marchio di fabbrica del sound della band. Questa voglia di sperimentare soluzioni diverse si percepisce in maniera distinta sopratutto nella seconda parte del disco, e anche “The Proud and Broken ” è intrisa di voglia di sperimentare e idee nuove ed interessanti, che ne fanno di sicuro uno dei pezzi più interessanti dell’intero album.

Si chiude con un outro strumentale, così come era iniziato il disco.

Un disco piacevole, ben suonato e sopratutto ben cantato, ma che forse, analizzando più approfonditamente, non sviluppa a pieno quelle che sono e rimangono le potenzialità della band, che a volte tende a sedersi sugli allori e a sfornare il compitino base, come forse capita maggiormente nella prima parte del disco, dove vi sono pezzi si interessanti e piacevoli, ma che forse non rimangono così scolpiti nella memoria o riescono a lasciare il segno.Altre canzoni nella seconda parte del disco sembrano però discostarsi da questo trend e mostrano una band che vuole proporre qualcosa di nuovo, rimescolare le carte e in certe situazioni lo riesce a fare decisamente bene. Questo naturalmente lascia ben sperare per il futuro, ma è anche vero che confonde un pochino poichè forse non è così chiaro, deciso e netto quello che è il sentiero che vogliono percorrere i Kamelot. Ma forse è anche perchè le aspettative, per un gruppo del genere, sono sempre altissime, visto che in passato hanno saputo regalarci album splendenti come gemme. Ad oggi ci dispiace non gridare al miracolo, ma la qualità rimane indubbiamente alta, ed i fan della band probabilmente non rimarranno delusi.

  • 7/10

  • KAMELOT - The Shadow Theory

  • Tracklist
    01. The Mission 
    02. Phantom Divine (Shadow Empire) 
    03. RavenLight 
    04. Amnesiac 
    05. Burns To Embrace 
    06. In Twilight Hours 
    07. Kevlar Skin 
    08. Static 
    09. MindFall Remedy 
    10. Stories Unheard 
    11. Vespertine (My Crimson Bride) 
    12. The Proud and The Broken 
    13. Ministrium (Shadow Key)

  • Lineup
    Thomas Youngblood - chitarr
    Sean Tibbetts - basso
    Johan Nunez - batteria
    Oliver Palotai - tastiera, chitarra
    Tommy Karevik - voce