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Timo Tolkki

[ENGLISH VERSION here]
Timo Tolkki
lo si può conoscere e ricordare in tanti modi: un talentuoso chitarrista, l’88esimo most influential guitar player of all time o fra i 50 più veloci di sempre, un compositore sopraffino che ha contribuito con i suoi Stratovarius ad esportare e creare quel melodic metal made in Finland che da quel momento in poi tante band hanno scopiazzato, un esperto conoscitore del mondo musicale in tutte le sue sfaccettature.
Dall’altra parte, Timo Tolkki lo si può ricordare anche per quei momenti difficili che lui stesso ha sempre riconosciuto di aver passato e di cui ne ha raccolto testimonianza nel suo libro “Loneliness of a thousand years”, commovente racconto della fragilità del Timo uomo, prima che musicista.
Quello che oggi, a nostro parere, incontriamo è probabilmente un Timo Tolkki che ha fatto il punto sulle esperienze del passato e che conscio di quanto fatto, patito e creato guarda al futuro e al mondo con occhi più distaccati e senza lo stress della vita da musicista. Sebbene la musica sia ancora una parte indissolubile del suo essere.
Uscendo dal gioco della domanda e risposta che un’intervista necessita, dalle considerazioni sulle sue esperienze musicali (Stratovarius, Revolution Renaissance, Symfonia, etc…) le parole di Timo meritano una lettura e uno spunto su quanto un musicista e pensatore possa essere promotore di riflessioni ed opinioni.

Per questo, ringraziando Timo per la disponibilità, vi invito alla lettura e non è escluso che potreste trovare qualcosa di cui fare vostro, come chi vi scrive fece tempo fa per quel tanto banale quanto significativo “I did it my way”. Buona lettura.
Un grazie anche alla bravissima Fabiana.

Ciao Timo, grazie per il tempo che ci concedi. Non più di un anno fa ero a Helsinki per il primo concerto dei Symfonia e tu eri concentrato sulla promozione e la release di “In Paradisum”. Ora le cose sono cambiate e tu non appartieni più al mondo del music business e, da quanto abbiamo appreso dai tuoi aggiornamenti su blog e social networks, stai vivendo una “vita normale” con la tua famiglia. Come stai? Come ti senti dopo così tanti anni passati in giro per il mondo?

Sto bene. Ho organizzato la mia vita in un modo molto semplice e ho ridotto al minimo tutti i problemi che possono interessare uno stile di vita moderno. Ero abituato ad andare nei club ma dal momento in cui ho smesso di bere sei anni fa, non ci ho più messo piede.
Più invecchio e più realizzo di essere attirato dalla natura e dal vivere in tranquillità.

Rimpiangi la scelta di aver detto basta  con mondo della musica? Hai mai pensato, durante queste settimane di ritornare in piazza, magari sotto altre vesti?

Non è stata propriamente una scelta ma una mossa necessaria. Avevo lavorato duramente con le mie nuove band dopo aver lasciato gli Stratovarius e sfortunatamente ciò non è stato ripagato in termini di successo e non avrebbe avuto senso andare avanti. Ho sempre detto a me stesso che avrei continuato a suonare e comporre musica fintanto chè la gente avrà voluto ascoltarla. Comunque, a solo quattro anni dai cinquanta, mi ritrovo ora a considerare molto meno questo aspetto. La musica è parte di me perché io sono nato con essa ed è un veicolo della mia espressione: qualunque cosa esca da esso nei prossimi 10-15 anni potrebbe rappresentare le cose più importanti che abbia fatto. Non necessariamente per il pubblico, sebbene ciò sia anche possibile, ma soprattutto per me stesso.

Abbiamo letto cosa non ha funzionato con i Symfonia. Cosa ti ha fatto più male? Qualche contrasto personale con gli altri membri della band?

Ciò che mi ferisce di più è quando alcuni giornalisti provano ad estrapolarmi risposte provocatorie  sapendo che a volte io parlo molto direttamente. Sto scherzando ovviamente. Sono partito a creare i Symfonia con grande entusiasmo ma ne sono uscito con una grande delusione. Ci sono voluti sei mesi per capire cosa effettivamente sia successo. Tutto quello che posso dire è che certi membri non si sono comportati del tutto onestamente e che certi altri erano nella band nella speranza di ottenere dei guadagni monetari. È importante essere pagati per il lavoro che si fa, ma imbattendosi nella realtà dell’attuale music business, se la band non vende abbastanza dischi, non ci sono soldi. Sono sicuro che Andre Matos ottenga dei guadagni per la sua carriera solista al di fuori dai Symfonia nonostante la situazione del mercato non si di grande aiuto. Considero tuttora “In Paradisum” un buon album e mi ha impegnato per più di mille ore di lavoro fra programmazione, engineering, mixaggio, mastering e produzione.

La collaborazione con Michael Kiske nel periodo di Revolution Renaissance ci ha lasciato delle pagine di grande musica. La sua voce si incastra perfettamente con la musica che tu scrivi. Avevi mai provato a chiedergli di diventare membro dei Symfonia?

Non penso avrebbe accettato perché Michael segue coerentemente il suo percorso. Cosa posso dire di lui? Se gli angeli avessero voce umana, quella voce sarebbe probabilmente la sua. Mi auguro di poter fare ancora qualcosa con lui, una canzone o due. Gli auguro tutto il bene possibile.

Ci hai rivelato che la canzone “Don’t Let Me Go” è stata scritta in onore di Steve Lee (storico cantante dei Gotthard, tragicamente scomparso in un incidente stradale nel 2010, ndr). Quanto è importante l’amicizia nella tua vita? E’ possibile trovare degli amici veri e leali nell’industria della musica?

Non è “in onore” di Steve, ma ho semplicemente scritto la canzone quando venni a conoscenza della notizia della sua morte. Parte del testo ed il titolo sono miei. Nel music business i soldi solitamente si frappongono fra le cosiddette amicizie. Bisognerebbe definire cosa si intende per amicizia prima di tutto. Tutti i miei veri amici sono fuori dal music business e io sono davvero stufo di tutte quelle persone che si aspettano qualcosa da me che siano soldi, successo e o calzini nuovi.

Qual è il miglior musicista con il quale hai suonato?

Senza ombra di dubbio, sicuramente Jens Johansson.

Durante tutta la tua carriera, hai sempre, come le tue scelte hanno dimostrato, seguito il tuo percorso, o meglio puoi orgogliosamente dire:”I did it my way”. Rimpiangi di aver fatto/non fatto qualcosa contro le tue idee con lo scopo magari di ottenere dei compromessi per una buona causa?

Il mio percorso personale include molto altre cose oltre che la musica. Ho tanti rimpianti riguardo cose che avrei fatto ma che rimpiangerei ancora di più se non le avessi fatte o provate. Non penso che la vita vada a ritroso. Noi siamo immaginati per essere come siamo. La natura è progettata come una opera d’arte per quelli che si fermano e riescono ancora a vedere ed apprezzare una farfalla gialla, le nuvole a forma di aquila, la bellezza di un’alba. Noi umani abbiamo dato vita ad una nevrotica confusione su questo pianeta ed un malato, contorto sistema nevrotico che noi stessi abbiamo creato e che chiamiamo società e che è responsabile di tutta la bruttezza presente in questo mondo e che è quasi impossibile da sopportare.

Tu sei tuttora spesso collegato al nome Stratovarius. Ma ora Stratovarius è un’altra band e solo Timo Kotipelto e Jens Johansson sono i sopravvissutti di quella line-up che forse è stata la più conosciuta ed apprezzata. Cosa provi nel vederli ora pensando a cosa eravate prima?

Penso che gli Stratovarius non esistano più ma questa è solo una mia opinione. Provo nostalgia per il passato perché ventidue anni con quella band sono tanti. Non mi interessa quello che stanno facendo ora, ma noi tutti stiamo invecchiando e fra poco raggiungeremo il traguardo dei 50. A parere mio, ad un certo punto nel Metal, ci si deve chiedere se è opportuno ancora cantare riguardo “Legions of the Twilight”, poi però ognuno la pensa come vuole…

Da ciò che si legge e dalle opinioni della gente, vale spesso l’equazione Mr.Tolkki=veri Stratovarius. Consideri questo un peso più che un motivo di soddisfazione?

Detto così sembra qualcosa che esce dalla bocca del bassista dei Manowar. Le persone modellano le loro opinioni basandosi su quello che dice la stampa. Mia moglie e mia madre hanno sicuramente opinioni diverse su di me rispetto a Jesus Gonzales dal Guatemala. È tristemente comune per le persone cercare un bersaglio per il loro odio nevrotico. Per me è molto importante tenermi a mente che internet e i magazine non esistono veramente, mentre la mia vita quotidiana e le persone che amo sì. Fintanto chè sarò in grado di seguire questa strada, starò bene.

Nel 2008, tu cedesti definitivamente tutti i diritti e le royalties del nome Stratovarius ai membri rimanenti. Quanto è stata dura per te, che hai fondato la band, prendere una tale decisione?

È stata una decisione presa più di impeto che altro. Non avrei mai creduto che potessero decidere di continuare come Stratovarius senza di me. Sono stato veramente ingenuo al tempo, poi alcune cose sono cambiate e alcune situazione sono state smascherate, il che è sempre una buona cosa. È stata una cosa fatta più che altro per protesta per allontanarsi da quelle persone. A dire il vero, potrei riappropriarmi del nome Stratovarius ma ciò necessiterebbe una causa giudiziaria di molti anni e alla fin fine non penso ne possa valere la pena.
Quindi, divertitevi finchè potete, il tempo scorre veloce e i capelli iniziano a cadere.

C’è qualche ex membro della band che tu consideri tuttora un amico?

No.

Tu sei un provocatore di natura. Pensi che le persone debbano essere spinte e stimolate per raggiungere un altro livello di pensiero? La tua maieutica prova ad aprire la mente del tuo interlocutore o è solamente un modo per osservare la grettezza degli essere umani?

Il più delle volte lo faccio solo spinto dalla noia. Soprattutto nelle interviste face to face, le quali sono circa sempre le stesse. Ma non voglio cercare di spingere la persone a pensare diversamente e il motivo è perché gran parte di loro non vogliono ragionare su altri livelli. Mi piacerebbe fare le cose un po’ più interessanti di un semplice “rock on” o di un altrettanto banale “penso che questo sia il nostro migliore album”.  È anche un hobby soprattutto con le persone che non mi conoscono; potrei essere veramente provocatorio perché sono molto abile nel capire e conoscere il carattere ed i valori delle persone. Ma questo mio modo di fare, ti ripeto è più che altro spinto della noia.

Hai delle canzoni, del materiale, dei riffs che probabilmente non verranno mai pubblicati?

No, ma ti posso dire che sono pieno di musica ed è come se essa provenisse da una nuova fonte inesauribile.

Ci sono possibilità di vederti ancora in giro per il mondo, magari non in una band, ma quanto meno come insegnante in seminari per chitarra? O, perché no, come scrittore, con un nuovo libro che segua il commovente “Loneliness of a thousand years”?

Mai dire mai. In questo momento sono molto felice di vivere questa vita e di come stanno andando le cose. Direi che il fallimento dei Symfonia è stato sufficiente per poter dire che non formerò più nessun’altra band. Voglio diventare un dottore, sono veramente molto interessato nelle malattie e nelle sue cause.

Qual è stato il punto più alto della carriera di Timo Tolkki come musicista? E quello più basso?

Difficile dirne uno perchè ce ne sono stati parecchi. Uno è stato sicuramente quando io e Mikko Karmila stavamo lavorando da giorni al mixaggio di “Season Of Change” . Dopo giorni di lavoro ci siamo messi nello studio ad ascoltare quella canzone a tutto volume. L’intensità delle emozioni di quel momento mi colpirono come mai mi fosse successo prima. Mi lasciai andare e iniziai a piangere. Era un pianto dovuto alla felicità per aver raggiunto il frutto di un duro lavoro e alla consapevolezza di aver fatto centro con quella canzone. Essa è tutt’oggi una delle mie preferite.

Il punto più basso è semplice da individuare. È senza dubbio la trovata pubblicitaria del 2004 attorno all’omonimo album Stratovarius, orchestrata dalla band e da Antje Lange, capo della Sanctuary Records (etichetta della band al tempo, ndr). Ma nella sua pazzia, anche ciò sembra trovare il suo spazio nel puzzle…