Nel corso degli anni, la definizione di ‘concept album’ si è evoluta notevolmente…a partire dalle
prime ‘storie’ raccontate su disco, come ad esempio “Tommy” dei The Who e il mitologico “Sgt. Pepper’s…” dei The Beatles, l’arte di far fruire una vicenda attraverso unicamente parole e musica si è ampliata, arrivando in alcuni casi ad essere delle vere e proprie colonne sonore (i Goblin) o in altri a dei dischi che sviluppano un romanzo (vedesi i Rhapsody Of Fire).
Alla lista si aggiungono gli Arkona, con questo nuovo settimo sigillo che ha tutta l’aria di voler dividere i propri fans…in primis, “Yav” presenta un songwriting più omogeneo e meno altalenante, tralasciando il mitico rimbalzare da sfuriate epic/pagan a mistiche folk songs, e in secondo luogo porta una sorta di ripetitività delle strutture, cosa che a un primo ascolto può apparire snervante. Masha e soci, ad ogni modo, sono ben consci di questa virata di rotta, dato l’ammontare mastodontico degli arrangiamenti musico/vocali e dalle lyrics ispirate alla mitologia pagana russo/ucraina dei secoli scorsi.
A livello tecnico “Yav” è un disco studiato e cucito a dovere in ogni suo punto…la produzione è oscura e umida, rievocante i boschi e le creature selvagge dell’artwork, mentre i suoni sono mantenuti poco pompati per dare un senso retrò al contesto. Le performance sono di una band che ‘vive’ il proprio disco, che lo crea ma che allo stesso tempo ne assapora le strutture e i passaggi, mentre mix e mastering (ad opera degli stessi Masha e Lazar) lavorano per tenere alto il tiro e la tensione. La voce della bionda guerriera, ad ogni modo, rimane il fiore all’occhiello del sound degli Arkona, capace di ferire profondamente ma di alleviarne il dolore.
Non mi permetto di fare il song by song rituale perché finirei per sciorinare le mie opinioni oltre alla soglia del dovuto (in una recensione)…In nove tracce è racchiuso tutto, dall’amore per la propria terra e per gli strumenti folkloristici tipici della terra siberiana al blast beat estremo retto a sorreggere chitarre sparatissime. Ogni traccia fa parte di un mondo e rappresenta un mondo a sé stante, descrivendo con la mistica lingua russa ambientazioni e vicende(sembra in certi casi di trovarsi al cospetto di incantesimi).
Un disco che saprà spaccare in due fazioni i fans della band…ad ogni modo, credo che dopo due dischi della portata di “Goi, Rode, Goi” e “Slovo” la band cercasse da sé stessa la capacità di estrarre un coniglio diverso dal cilindro, in modo da rinverdire il sound (e l’immagine) ma senza snaturarne troppo le radici. Lavoro riuscito, disco da amare o odiare.