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BE’LAKOR – Of breath and bone

I Be’lakor tornano a fare capolino sul mercato discografico con il fatidico terzo album forti della loro egemonia come “la più famosa melodic death metal band dell’Australia”. Bella forza, i conterranei di Crocodile Dundee sono famosi per il surf, per mangiare koala e ,musicalmente parlando, per il punk o generalmente cose abbastanza scanzonate. So che molti di voi staranno inorridendo, ma la seconda cosa per fortuna non è più vera, sono diventati specie protetta. Tornando a noi, una concorrenza più spietata avrebbe di sicuro aiutato i Be’lakor nel processo di crescita e formazione, mentre invece il quintetto sì è adagiato sugli allori di un tranquillo death metal zuccheroso ed innocuo di chiara derivazione svedese. Of breath and bone è un album assolutamente inoffensivo, privo di idee, di cattiveria e di personalità, tutte cose che dovrebbero costituire il motore centrale di una band, soprattutto una che suona un genere ormai inflazionato e saturo. E invece niente, tutto sa di già sentito, a partire dalla voce che è identica a quella di Johan Hegg (Amon Amarth, se non lo sapevate non siete abbastanza vichinghi!) passando per le strutture dei brani scontate e prevedibili per arrivare ai riff di chitarra banali e carenti di tecnica. Purtroppo questa volta non salvo proprio nulla, perché anche il trucchetto di mixare l’album ai Fascination Street Studios ha reso ancora più ruffianamente swedish il tutto, grazie a quei suoni che gli appassionati hanno sentito centinaia di volte. La personalità è un valore importante che va salvaguardato, quindi se un album suona un po’ più ruvido ma dannatamente originale ben venga. Il processo di emulazione invece è una cosa che fa del male alla musica, sminuisce la creatività e crea un esercito di band cloni i cui album vengono comunque acquistati (o scaricati) perché l’ascoltatore distratto trova in loro qualcosa di rassicurante. Forse mi sono accanito fin troppo sui poveri Be’lakor, che di sicuro non sono la causa dei mali del mondo musicale, ma ho trovato in loro una tale ispirazione ai classici mostri sacri del melodic swedish death da non essere più normale venerazione giovanile, ma malafede bella e buona. Il tocco finale che completa l’opera sono dei riff di chitarra francamente imbarazzanti, più vicini al power metal dei Dragonforce debitamente (per mancanza di tecnica) rallentato che al death. Certe passaggi in tapping poi sono assolutamente ridicoli, a metà strada tra la tarantella e l’italo-disco alla Gigi D’agostino arrangiato per chitarra. L’unica cosa che si salva veramente di Of breath and bone è l’artwork della copertina, assolutamente morbosa e maliziosa. Non basta questo però a risollevare le sorti di un album che ha un enorme difetto che lo affossa: è falso come i soldi del monopoli. Non ci sono idee, non c’è fantasia e soprattutto non c’è quella cattiveria che deve contraddistinguere un buon album death metal.

  • 4/10

  • BE’LAKOR - Of breath and bone

  • Tracklist
    1. Abeyance
    2. Remnants
    3. Fraught
    4. Absit omen
    5. To stir the sea
    6. In parting
    7. The dream and the waking
    8. By moon and star

  • Lineup
    John Richardson. basso
    Jimmy Vanden Broek. batteria
    Shaun Sykes. chitarra
    George Kosmas. chitarra, voce
    Steve Merry. tastiere, samples