“Cardiophonic“, di un suono che dovrebbe colpire direttamente al cuore, e che, invece, al massimo rimane incastrato nella mente di chi decide di intraprendere un viaggio musicale che finisce ben presto per rivelarsi controverso, se non abbastanza incomprensibile.
Due sono le direttive dell’album di debutto omonimo di una giovanissima band, quale i Cardiophonic, formatasi a Genova nel 2012: l’incredibile voce di Marco Dogliotti, che emerge nella totalità della produzione e che senza alcun tipo di sforzo potrebbe essere assimilata a quella di un grande come Myles Kennedy (Alter Bridge ndr), e il magnifico lavorìo chitarristico di Simone Ritorto, che si districa con maestria fra riff e assoli.
Due caratteristiche importanti, ma che, di fatto, da sole non sono in grado di far emergere un’intera produzione: con l’intento dichiarato di riportare indietro i seventies del British Hard Rock, si finisce con il procedere da “BRZ” a “In My Skin” su un’unica linea d’onda, in simil Rock’n’Roll divertito ma privo di motivetto accattivante.
Stesso sound, stesse atmosfere, stesse intenzioni: l’album scorre dalla prima all’ultima traccia creando nella mente dell’ascoltatore una confusione nel riconoscere il passaggio dall’una all’altra melodia, quasi si trattasse di un unico lunghissimo brano.
Le potenzialità ci sono, ora bisogna soltanto capire come incanalarle al meglio: “Cardiophonic” resta un esperimento, adesso aspettiamo la musica.
