Per quanto mi riguarda, gli In Flames sono stati il ponte verso il Metal, li ho sempre accolti positivamente cercando di apprezzare e capire le loro sonorità, tanto che “Soundtrack To Your Escape”, da tutti considerato un album mediocre, a me piacque e continua tuttora a piacere. Pertanto parlerò di questo lavoro, dal titolo “Siren Charms“, mantenendo una mentalità aperta e spirito critico cercando di farne una descrizione track-by-track.
L’album comincia bene, “In Plain View” è un ottimo brano che parte energico e pesante, con chitarre compresse e distorte e riff nostalgici che possono ricordare “Only for the Weak”. Sembra un cambiamento gradito rispetto a “Sounds Of A Playground Fading”. Sullo stesso ottimo livello qualitativo prosegue anche “Everything’s Gone”, fast paced, energica e distorta, qualcosa che mancava agli In Flames da un po’.
“Paralyzed” rallenta il passo, risultando più malinconica, ma del resto è tipico degli In Flames alternare energia e melancolia. La sonorità è evidentemente innovativa, con più elementi elettronici, ma ancora le chitarre pesanti e la batteria possente si riescono a percepire.
Non si può dire lo stesso purtroppo per “Through Oblivion”, una traccia debolissima, di poca importanza, stranamente scelta per il secondo videoclip dell’album. Per molti versi ricorda gli In Flames di “Soundtrack To Your Escape”, senza però il carico emotivo che l’album aveva. Veramente una pessima scelta per un singolo.
Come anche il progresso musicale degli In Flames, sembra che si vada sempre verso il peggio. Anche “With Eyes Wide Open” è un buco nell’acqua: una canzone inutile che sembra un filler in un album che era cominciato alla grande.
La title track, “Siren Chants” vede un Anders Fridén che insiste su una voce pulita come mai prima, cosa che non gli riesce benissimo, bisogna dirlo: brano sotto il livello della sufficienza.
Una continua altalena questo album: da minimi storici si passa a ottime canzoni che tutti aspettavano dalla band. “When The World Explodes” è una di queste, anche se del Melodic Death delle origini ha poco e il finale del brano, affidato alla voce di Emilia Feldt, sembra più di una traccia dei “Delain” o “Epica” che “In Flames”.
“Rusted Nail” rimane di “alto livello”(se me lo permettete ndr.), con chitarre armonizzate e pesanti, ricordando le canzoni più deboli di “Come Clarity”, tuttavia senza la potenza della batteria che caratterizzava quell’album.
Se si vuole continuare il parallelismo con “Come Clarity”, “Dead Eyes” è la versione molto più lenta di “Dead End”, meno la voce femminile e lo scream di Anders e più elementi Industrial (e giuro che è la prima cosa che mi è venuta in mente! ndr), risultando lunga e noiosa. Insomma nuovo notevole calo di livello.
Graditi sono invece gli ultimi due brani, “Monsters In The Ballroom” e “Filtered Truth” che addolciscono un po’ un ascolto faticoso di una band che si riconosce solo in qualche riff distorto o le chitarre ipercompresse che li caratterizzano.
Ci hanno provato, stavolta, gli In Flames; è considerevole il fatto che producano musica come meglio preferiscono, ma il risultato non è ottimale. Per chi, come me, è cresciuto con questo gruppo, l’ascolto è doloroso: la continua altalena tra sonorità che fanno sperare in una ripresa del Göteborg Sound e tracce debolissime di una band irriconoscibile è veramente insopportabile.