Devo dire che fare questa recensione è stato veramente difficile. Il nuovo lavoro dei Northern Oak, “Of Roots and Flesh”, è veramente difficile da classificare e analizzare. Essi cercano tante sonorità e diversità, ma finiscono per fare un calderone di “roba” di difficile ascolto.
Dalla prima traccia si notano subito pregi e difetti dell’intero album. “The Dark of Midsummer” è una traccia lunga che crea un’atmosfera conflittuale, da una parte leggera e favolistica spesso con il flauto in primo piano, dall’altra malinconica e pesante con ritmo cadenzato e chitarre quasi acide.
Ma come accennato nell’introduzione, è un calderone di roba: flauto, chitarre acide alternate a lead curati, growl, cori puliti, tastiere di sottofondo e persino qualche riff pulito di stampo progressive, tutto messo insieme da un mixaggio non impeccabile, dove il flauto spesso prevale in maniera prepotente.
Tale situazione si ripete diffusamente in tutto l’album, ciò nonostante sono presenti alcune ottime canzoni dove il connubio progressive e folk riesce meglio, come “Marston Moor”, in cui prevale la vena folk, con riff molto melodici e ritmo vivace, oppure “Nerthus” che ricorda gli Opeth per molti versi – intro di pianoforte, riff progressive, atmosfera malinconica – e gli Wintersun per gli aspetti più folk. Altra traccia veramente ottima è “Taken”, che dalle prime battute si propone come un brano progressive black alla Negură Bunget dell’album Om.
Dopo “Taken” però c’è un’interruzione di cui potevano fare a meno, inutile e forzata, “Requiescant in Pace”, che divide a metà l’album. La seconda metà prosegue senza grandi colpi di scena sulle linee guida della prima traccia, con l’unica differenza di un’impostazione più folkloristica.
Insomma, questo lavoro non convince del tutto: tranne i pochi brani summenzionati, l’album si mantiene su un livello di sufficienza senza però quel colpo di genio che lo faccia brillare.