Acronimo per “Face Everything And Rise“, nessun titolo poteva essere più controverso per il disco che segna i diciotto anni dalla prima pubblicazione studio: la band statunitense non affronta nulla e non si rialza, resta esattamente ferma dov’è, ormai da sempre, come bloccata dalla paura di discostarsi dallo stile che l’ha condotta in alto. Nonostante pecchi di scarsa originalità, però, “F.E.A.R.” disegna perfettamente il percorso di quello che si definirebbe un signor album.
A cominciare con “Gravity“, duetto con la biondissima Maria Brink (In This Moment ndr), emerge chiaramente il classico Nu Metal, sentito e risentito specialmente nei Linkin Park di Hybrid Theory, che alterna un cantato Rap ad un ritornello melodico, che in questo caso è pilotato, dalle influenze della collaboratrice, verso una leggera venatura simil Metalcore.
Da “Broken As Me” a “Devil“, passando per “Love Me Till It Hurts“, traspare un Hard Rock ricco di pressanti riff e ritmi serrati, che fa da sfondo alle linee vocali totalmente catchy, come del resto tutte quelle della produzione, che impediscono di dimenticare anche soltanto uno dei refrain dei brani.
Divertenti, fresche, subito stampate nella mente, la titletrack “Face Everything And Rise” e “Skeletons“.
Un album-redenzione, un passato che diviene presente e permane nel futuro senza deludere l’ascoltatore casuale, nè il fan più longevo. Un buon lavoro questo “F.E.A.R.” dei Papa Roach, sotto ogni punto di vista: se la strada intrapresa fin’ora ha portato i suoi risultati, perchè cambiare? L’innovazione è necessaria e complicata, la rielaborazione degli elementi di cui si è padroni al fine di una creazione musicale degna di nota è ancora più difficile, e, soprattutto, vitale.