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PHARAOH – Bury The Light

Quando aprite il grande, immaginario, libro del metal americano scoprite un pozzo di tesori pressoché infinito: le scorribande power di Metal Church e Vicious Rumors, l’epicità stradaiola degli Omen, le intricatezze neoclassiche degli Helstar, le arguzie ritmiche, concettuali e melodiche del progressive di Fates Warning e Crimson Glory. Senza pretesa di completezza, racchiudendo nel loro ampio spettro sonoro molto dei gruppi citati, e non avendo l’ardire di sfidarli sul loro terreno ma di elaborare con gusto personale 30 anni di storia heavy a stelle e strisce, i Pharaoh aggiungono un’altra tacca a una carriera che di disco in disco sta diventando sempre più degna di nota. Lo status di cult-band, con “Bury The Light”, comincia a stare stretto al quartetto guidato con maestria dall’inconfondibile riffing di Matt Johnsen e dallo screaming col cuore di Tim Aymar. I Pharaoh non si staccano con decisione dal predecessore “Be Gone”, ne riprendono la finezza di tocco e le melodie liquide, come del resto il desiderio di esplorare trame complesse e sempre scorrevoli. Queste caratteristiche sono state accentuate, le parti progressive sono ancora più sfaccettate e il novero delle soluzioni adottate si è ulteriormente ampliato. La differenza più notevole è però rappresentata da un netto indurimento delle chitarre, spesso ai confini del thrash, quando in passato difficilmente si usciva dall’alveo del metal classico. Le doti di songwriting non sono in discussione, tutt’altro, l’aumentata densità sonora si è tradotta in brani corazzati e comunque pregni di quella drammaticità scintillante e di quel calore che avevano reso grande “Be Gone”. “Bury The Light” rappresenta una evoluzione in senso stretto, perché tutte le doti del combo messe in risalto in passato sono ora ancora più in luce e rifinite al meglio.

Abbiamo quindi del gran power tirato in “Cry” e “In Your Hands”, le progressioni opulente e corali di “Castles In The Sky”, “Graveyeard Of Empires”, “Burn With Me”, circostanze in cui i nostri tengono saldo il timone e trascinano a un ascolto bramoso e interessato. Viene anche tentata la carta del pezzo di ampio respiro, quasi una piccola suite, con “Year Of The Blizzard”, dai tratti hard rock maestosi e dallo sviluppo quanto mai variegato, un modo di far proprio il prog rock degli anni ’70 in un’ottica smaccatamente progressive metal. Sempre degne di plauso le prove dei singoli, Aymar è come di consueto estremamente caratterizzante e si trova a suo agio in ogni tipo di situazione, non paventando difficoltà nemmeno nelle parti più accese, nelle quali deve sforzare al massimo l’ugola; Johnsen forgia riff ben bilanciati fra carica metallica e visioni sognanti, Kerns e Black sono un motore ritmico instancabile e degno contraltare dei due talenti alla voce e alla sei corde. Speriamo ora di poterli vedere anche dal vivo, i Pharaoh meritano tutta l’attenzione dei nostalgici degli anni d’oro del metal classico e dei defender di ultima generazione.

  • 8/10

  • PHARAOH - Bury The Light

  • Tracklist
    1.Leave Me Here to Dream
    2.The Wolves
    3.Castles in the Sky
    4.The Year of the Blizzard
    5.The Spider's Thread
    6.Cry
    7.Graveyard of Empires
    8.Burn With Me
    9.In Your Hands
    10.The Spider's Thread (reprise)

  • Lineup
    Tim Aymar - voce
    Chris Black - batteria
    Matt Johnsen - chitarra
    Chris Kerns - basso